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Un sorriso e un grazie per te, Rosi.

Roberto Alajmo | 15/08/2020 ore 10:46:47 | @

 

"L’orizzonte marino è un orizzonte liquido che abitua colui che lo osserva dalla costa a smarrire i riferimenti stabili, a pensare la propria identità come non immutabile, un mosaico costruito da partenze e approdi continui".-

Questo verso in prosa non è mio, l'ho scelto per il bel forum di Roberto, su cui ogni tanto approdo certa della libertà di espressione accolta, consentita con gentilezza. Vivere in condizione di gentilezza riuscendo a comprendere il perché l'altro esprime qualcosa a noi è una piccola conquista di un passo avanti verso il mare che a volte lascia vivere ciò che vive e a volte no. Accade, se lasciamo fare al mare la sua storia, che non ha alcuna storia di amore e del ricordo fino a che non incontra e lascia un segno che cresce in un lembo di terra.
Così se si vuol vivere per capire la storia degli errori commessi nella nostra storia, si può prendere a campione la vita dei popoli del mare e oggi si parla del Libano. Uno stato con un affaccio molto ampio sul mare, leggevo su un articolo on line da cui ho tratto il verso di prosa sospendendolo a inizio pagina. E pensando a noi Italia circuita interamente dalla straordinaria forza attrattiva del mare e guardando allo stato del Libano nei suoi cambiamenti, si puo' riuscire anche a vedere con forse con chiarezza di esempio (e apertura di pensiero del mare), a cosa portino le fazioni senza dare la colpa anche alle religioni. Basta prenderne l'esempio del meccanismo delle fazioni sottraendone forse ancora temporaneamente per noi, il meccanismo delle religioni per restringere l'orizzonte al gioco delle fazioni che non è il gioco di quelle che alla fine chi vince è gioioso con tutte le altre e ritorna al costruttivo del nuovo bene comune, ma è la vita di anni e anni delle fazioni distruttive.
E per capire che la società libanese era un po' sotto questo aspetto di esempio, come la nostra, e che la storia la si deve guardare anche nel suo punto esterno per comprenderne forse meglio il nostro limite interno, sarebbe meglio far crescere la cultura per formare chiunque, (paradossalmente anche uno schiavo), nella cultura dell' andare incontro all'altro con un sorriso aperto, sincero, per fargli desiderare la libertà, la libertà di essere se stesso e di restare aperto in fiducia e disponibile nella sua piena qualità di vita e di dignità. È un pensiero che molti possano definire utopistico e lo rispetto questo pensiero.
E la popolazione la si dovrebbe formare al discernimento e al rispetto del come guardare la vita in un esempio forte come questo Libano.
Ce ne sono molti di esempi nel mediterraneo in cui è posta l'Italia che geograficamente, se abbandonata alle sue debolezze, potrebbe patirne una fine della sua continuità. Sì, è bene avere uno sguardo lungo nella sostanza del tempo se si continuerà a spingere con i giudizi e con le spinte delle fazioni per voler cambiare continuamente ciò che dell'Italia delude abbandonando memoria della parte del bene di ciò che essa nel bene è anche stata, fino a qui.
Per voler cambiare davvero molto l'Italia. Se la si vuole ancora una Italia. E parimenti ciò vale per le sue regioni, per le sue citta', per i suoi luoghi e nuclei di persone che la abitano dai centri alle periferie prima che si arrivi al tempo della guerra delle divisioni sterili o degli annullamenti in cui non può per giocoforza di cose nella lontananza del tempo che ci è dato di vivere per generazioni future, vincere nessuno.
Ecco noi abbiamo l'esempio del Libano che era riuscito ad alzare muri in se stesso, e non era mai cresciuto per aprire gli occhi. Questa bomba orribile che ci attrae gli occhi per un attimo di stupore prima di distrarci nel nostro quieto o pigolante vivere o che andrà ad attrarci nel nostro massimo bisogno creerà un altro esodo e ce lo mette davanti agli occhi e forse ci fa dire: cosa vogliamo per noi. Oppure no. E se anche lo considerassimo un segno questo Libano, per farci capire cosa siamo e dove viviamo anche noi in una bella Italia che si fregiamo del canto dolce e naturale di un clima mediterraneo quando ci si industria a rappresentarla in termini di attrattiva turistica, nei suoi bei territori della Toscana al centro della nostra ripeto, bella Italia, il Libano ci sta davanti e ci ricorda che forse non esistera' una bella Italia senza un bel Mediterraneo. Come potrebbe esistere, se ci mette davanti agli occhi un futuro che si avvicina alle nostre generazioni future, un futuro che era semplice come un sogno antico che ora può cancellare tutto ciò che puo' creare fastidio a chi viene a cercare una Italia dove è positivo sfruttarne l'idea del nome che può addolcirne l'idea nel proprio clima per abbandonare a sé stessa l'altra parte del nome legata alla vita che ha perduto in anni e anni di guerre faziose o perché convenienza, la pace. Conviene abbandonare a sé stessa l'altra parte del nome tanto come l'Africa. Ma è parte dell'Italia anche questa parte del mediterraneo che è parte dell'Europa che può decidere di rinunciare al mediterraneo e lo ha già fatto per conservare migliori porti commerciali lontani dai porti di un mediterraneo dove non è più il desiderio di contenersi e sviluppare i commerci fondamentali alle economie mondiali. E dove ogni possibile guerra dal momento che una guerra costa se non dà una contropartita in termini di valore per l'accrescimento della economia, è una guerra persa e va lasciata a sé stessa... E per ricalcare l'esempio, in quel momento in cui uno stato, qualunque stato, viene abbandonato a se stesso perché arriva il momento (sempre nella storia) che uno stato è che é considerato dagli altri stati una persona fisica che vale la pena salvare oppure no, scade di valore. In quel momento paradossale in cui, e lo vediamo per storia paradossale di questi anni, qualunque flusso migratorio é scomodo e va rimandato indietro ai suoi errori e alle sue non vite, è pensiero di questo tempo. E' realtà comune, non bene comune, realtà comune, se il bene comune di oggi é da definire prima in noi. Gli stati sono persone fisiche. Così li dobbiamo guardare, ce lo scrive la Arendt. E allora tornando al Libano oggi conviene chiederci (Roberto perdoni per mio scarso vivere culturale le ripetizioni), che vogliamo noi per questa Italia, ed anche chiederci, che vogliamo noi per questa Europa, e chiederci se riusciamo in un pensiero ampio che non ancora ci è dato, che vogliamo noi per il mondo e per le nostre città. E ascoltando noi stessi scopriremo che il mediterraneo lo vogliamo lasciare, come se non ci appartenesse questa parte scomoda di noi Italia. Questa parte così diversa e difficile, in questa Italia che fa concorrenza tra le regioni per mostrare qual è la migliore in termini di prestazione così come (forse) facevano e disfacevano concorrenza tra esse le antiche città (ricordare l'esempio delle polis greche forse, può anche ritornare un po' noioso, ma nel contesto, mi è parso utile), a ogni antico e del loro futuro approssimarsi di un crollo.
La storia di esempi cosi ne è piu' piena di noi che non la stiamo a guardare, e che ci lasciamo aggrappare dalla forza delle critiche con la rivalsa di esserne parte stessa pensando di salvarci. E non voglio chiedermi chi siamo noi senza l'Italia. Ne ho timore. Noi e qualunque regione a cui ci amiamo di essere e di appartenere chi siamo senza l'Italia. Siamo una forza e saremo una minoranza dispersa e appetibile e sminuita di fronte al mondo che non la considera che per le qualità e poi se ne stanca al cambiamento delle condizioni stesse della storia? Perche' puo' accadere, quando la guerra fomenta le insoddisfazioni umane. Lo vediamo oggi.
Il Libano si pone davanti a noi per farci vedere e chiedere: chi siamo noi? Lo spero. Perché la domanda aprirebbe un: Chi vogliamo essere noi, per noi stessi? Chi siamo noi prima che ci arrivino gli altri e soprattutto chi vogliamo essere noi, per gli altri? È una questione di identità il problema dell'Italia che si è privata di cultura per non guardare cosa siamo noi, quando continuiamo a svilirci nelle lotte intestine con la stessa insistenza di una Firenze finita a Montaperti (1260). Che siamo noi quando siamo tante di quelle volte incapaci di costruire ponti di dialogo del bene vero. Con quel rispetto che si costruisce e si fa strada tra le nostre integre unicita' e diversità e non è il bene del lasciarsi cadere facile preda tra le fazioni politiche di una città che calpesta nel valore ciò che è il bene vero, di ogni colore armonizzabile in una città in una regione tra le regioni, o di una regione in una nazione, o di una nazione tra le nazioni in una Europa, di un mondo che e' diventato difficile. Qual è il bene stiamo costruendo noi. Non la politica, noi. Qual è il bene dei nostri gesti quando incontriamo l'altro della nostra citta', forse questo ci aiuterebbe un po' a pensare mentre rispondiamo ai suoi occhi tenendoci a mente quel Libano che ci pone davanti a oggi tutto ciò da cui sfuggiva ed era incapace di accogliersi. Forse questo pensiero razionale può bastare al difetto di una carenza di empatia. Se in quella realta' una solidarietà andava a fossilizzarsi in pochi suoi punti e cellule della materia confinata se stessa e racchiusa a chiave dentro ai muri che annullavano in un paese la sua stessa forza dello stato-persona fisica agli occhi di tutti gli altri stati-persone fisiche del mondo.
Chi siamo noi quando ci coalizziamo in gruppi lasciando altri a coalizzandosi contro di noi nelle diverse piccolezze lasciando che le stesse piccolezze si additino e umilino in divisioni che comincino e si accrescano a volti di scudi di pietra tra loro.
Il Libano è qua. Ci si pone davanti agli occhi in ciò che si é e che siamo ma in ciò che possiamo anche noi essere se vogliamo segna una strada.
Noi possiamo resistere tra le diverse comunità religiose e tra i diversi pensieri e modi di vivere come in Libano, trincerandoci (noi tra noi) ora dietro ai giudizi che si tengono dentro per tutti gli anni faziosi e irrigiditi e incapaci di costruire anni maturi in tutte le nostre città e nelle nostre città mediterranee che alzando un muro di palazzi sul mare per non guardarlo (mi e' piaciuta molto nell'articolo la citazione dei palazzi costruiti così) per non guardare il cambiamento della storia e di noi stessi. E in assoluta liberta' possiamo decidere di essere anche noi come il Libano verso tutte le comunità più furbe o più povere o piu' impiegate ma lasciate ai margini della società, nei luoghi delle periferie che non educano a una sana conseguenza degli errori, e possiamo lasciarli a sé stessi nella cultura dell'abbandono finche' la comunità più povera cresca esponenzialmente un incremento demografico di nascite rilevante per ottenere un proprio valore decisionale e politico come è avvenuto in Libano.
Chi siamo noi per non guardare questo esempio e per non capire che una pandemia che arriva a ridimensionare tutta questa crescita nel mondo con le cifre dei numeri dei morti equivalenti guarda caso a una guerra globale che puo' cancellare anche la parte saggia e anziana di noi, e tutta la parte della memoria intima e personale che per immaturita' non siamo riusciti ad affidare ai nostri giovani? C'è da riflettere su questo. Ma
Il Libano andrà via da tutto questo nella lunghezza del tempo passando nella linea fuoco e non lo dimenticherà, come é stato per Israelrle o svanira' come è andata per ogni stato del mediterraneo che fu per noi fonte di equilibrio e di contenimento del mare nero inquieto dell'Africa. Stati cuscinetto di un equilibrio destinato a non essere compreso dal mondo. L'Africa e' alle nostre porte negli orrori, è il frutto degli errori umani che crescono negli errori degli errori della comunicazione umana che tutto perde quando brama altro utile e si rincresce che si vogliano riaprire queste separazioni di confine prive di armonia. Non tutti siamo disposti all'ascolto e al dialogo nel confrontarci con chi é diverso e a voler restare dove quella stessa diversità che ci ascolta ci giudica e ci emargina. Né siamo disposti all'ascolto quando nel valore che esprimiamo non ci adeguiamo a cio' che percepiamo come una imposizione. E se non siamo disposti a questo ascolto per capire cosa è nelll'altro, perché mai dovremmo essere disposti ad accogliere un migrante che equivale a meno di un nulla? Maggiormente se il suo corpo esprime un colore di una povertà orgogliosa che disturba. L'esistenza civile umana é un lavoro di diplomazia e di desiderio dell'altro. Chi siamo noi, siamo capaci di desiderio? O bramiamo possesso di carne umana per farne valere la voce di importanza su quei pochi piccoli indifesi che nei cataclismi della vita resteranno ad aggrapparsi alle più altre grandi nazioni come piccoli docili e ammaestrabili. Né vogliamo parlare? Perché è questo il senso stesso della storia.
Se il Libano ci mostra che nei cambiamenti sociali dello stato giunto alle estreme conseguenze dei suoi errori, condivise la strategia della distanza che poi fu guerra civile. Noi ben conosciamo questa storia. Ci è appartenuta. Tutti ci lasciano soli quando non siamo uno stato di valore. Uno stato di valore non ha un esodo di profughi disperati in fuga da una distruzione. Ma che cosa accade a chi è stato declassato nel suo valore nel corso della storia umana? Se Noi lo vediamo anche in questo tempo come se riuscissimo a vederlo in noi, vediamo anche nelle pagine aperte della storia che si sta scrivendo nel mediterraneo che e' la storia delle invadenti invasioni e delle assenze e degli errori. E non vediamo che potremmo essere anche noi?
Cosa vediamo quando osserviamo la storia del Libano se ci risuona la storia di noi quando ci limitiamo a osservare e a trascorrere il tempo alzando muri di critica e di giudizi facili per non voler vedere l'altro uso e destinazione d'uso futuro di questi muri. Per tutto ciò che si lascia dietro (e non voler vedere) del futuro delle generazioni e dei figli che vivranno a formarsi nelle altre periferie e oltre gli alti confini dei muri. Non saper guardare e' il prezzo della storia umana delle guerre e degli esordi degli esodi. Quel prezzo non nasce dalle bombe, arriva dall'unico errore di fondo: l'incapacità di capirsi, l'incapacità di saper vedere oltre l'incapacità per arginare lo schema. L'incapacita' di insistere e di attendere con un sorriso sincero il vero tempo dell'altro, forse, per scoprire quanto è ricco interiormente anche l'altro, e che non conviene, metterlo alla pari con noi. E che per questo conviene spersonalizzarlo, cancellarne il nome, incasellarlo senza libertà di capacità espressiva nell'altra forma che puo' sembrare una pietà per la nostra stessa incapacità nel vederlo integro di un modo di condivisione che puo' dargli anche il desidero di sincero di venirci incontro. E' un gioco difficile il mondo nuovo. Quando si vive nel passato e si arriva fino al momento di ignorarne l'insegnamento si giunge in un contesto preciso in cui non lo si può più vedere. A quel punto la corda della possibile creativa concordia si spezza. E in quel momento nasce la distruzione. Il crollo di tutto. Che nell'ascolto della lontananza del tempo che ci guarda dal tempo di grazia dopo il tempo del fuoco sa farsi il tempo del 'crollante per tutti'.
Pensando al Libano, nei versi scritti della poesia in prosa dell'altro poeta capace di una finestra di respiro finissimo di natura di una purezza straordinaria:

“L’ampia distesa di mare, spalancata sul verde degli agrumeti, giungeva fino all’orizzonte, e il verde e l’azzurro dominavano il panorama che mi stava davanti, prima che i palazzi sempre più alti arrivassero a coprirlo. […] Quegli anni furono un periodo di felice confusione. La scuola […] era un luogo eterogeneo e per la prima volta in classe mi feci amici cristiani […]. La nostra generazione, a differenza di quelle precedenti, ebbe il privilegio di quella mescolanza che allora raggiunse il suo culmine, comprendendo un cattolico di Zahla, un druso dello Shuf e uno sciita, oltre ai maroniti della campagna circostante e agli ortodossi che provenivano dal centro città.”-

Nulla più di essa mi riporta alla simile bellezza incompresa della Sicilia e resto timorosa del suo futuro al punto che ne ho malessere. Mi chiedo, chi in Italia o in Europa, provi malessere pensando a noi crocevia del mediterraneo ormai privo delle navi da trasporto delle merci di vero e importantissimo valore per l'economia mondiale. E mi chiedo chi in Italia provi malessere pensando ai molti governi Italiani caduti per le insoddisfazioni delle fazioni. Mi chiedo se i numerosi governi nati e caduti siano davvero stati capaci di spiegare il meccanismo brutale delle fazioni che li hanno esclusi, e quegli errori che hanno fatto con umiltà nel capire che chi esclude le altre forme e non ha una possibilità di creazione del bene comune, costruisce debolezza. Tutte le forme senza il principio di questa forza di accoglienza prima o poi crollano. E se anche aprono alle fazioni altre e le inglobano, e queste continuano a frammentare il tutto cio' che è il bene comune dal loro interno, accade ugualmente. Senza riuscire ad abbandonare le rigide divisioni delle varie realtà, e continuando, facendone un vanto affinché tutto e tutti crollino allo stesso modo in un mondo profondamente cambiato dove si andrà? Osservando la distruzione della città del Libano mi chiedo anche se, nel proseguire del tempo di ogni legislatura nei tantissimi anni trascorsi non raggiungendo il cuore degli italiani ...se le stesse fazioni o le altre fazioni si siano chieste veramente dal profondo dei pensieri più amorevoli e veri perché gli italiani in segno di protesta e di rivalsa o anche solo per cercare un proprio utile in un mondo di utilitarismi poiché privati del concetto del bene comune, riempivano le piazze. Mi chiedo se gli italiani che ancora prima di questo si abituavano a votare per gli utilitarismi lo dimentichino adesso quando si urla, quando non si ottenga di più, quando si continua appoggiando ancora altre fazioni per far cadere i governi che hanno deluso. Mi chiedo cosa farebbero gli Italiani che disertavano le urne elettorali dei vincenti precedenti, se i vincenti precedenti di un qualunque colore politico si affannassero ancora a cercarli promettendo un qualcosa per raggiungere una certezza. Non ne ho piu' la convinzione di saperlo, eppure se siamo in democrazia, questo pensiero in questo spazio sento ti poter chiederlo.
Perché se in un processo di maturazione meno possibile, il politico e la politica risentivano della scarsa partecipazione al voto nel momento in cui le popolazioni si educavano "al chiedere" per se stesse e non al discernere per poi vederle a restarne dolenti e poi insoddisfatte per quanto era stato dimenticato il bene comune, mi confonde la strada da intraprendere, è lunga.
Come ci si può sorprendere ora, che questo tipo di cultura del votare per chiedere cose personali possa "costituire il bene comune" di una città o di una parte di una nazione o di una nazione in una europa che non è il bene dei privilegi del singolo gruppo contro l'altro ma ha una storia nei loro stati di una costruzione di armonia di cui è esempio ogni città?"
Quanti voteranno ancora per chiedere tra i contagi delle insoddisfazioni al momento delle difficoltà, sono le popolazioni che, non ottenendo ciò che attendevano, e avendo votato una fazione per ottenerlo come era stato loro insegnato per buona politica del vivere, e avendo sperimentato in passato una cattiva politica del voto di se stessi, si inasprivano contro la politica stessa. Ma il bene è una altra cosa. È un sapiente coinvolgere, e attendere, e rispettare, e ricoinvolgere, e crescere. Senza critiche, senza giudizi, senza muri. È una ricerca di ascolto delicata del modo, delle possibilità e delle sintonie che portino a respirare tutto ciò che e' diverso, il bene. Il bene vero. É un convincere iI bene che cresce anche in altro bene. Il bene che attende senza ostacolare nessuno, che non calpesta con passi distratti o voluti l'altro che aperto e fiducioso puo' rivolgere lo sguardo non piu' alle proprie ferite ma alla speranza che può ancora cambiare una mentalità da tempo incastrata in schemi troppo rigidi. Il bene che va in un mondo ancora possibile con un cambiamento che non nasce dallo sguardo che ti incontra senza pensare che servi all'utile di un voto per sé stesso e se non servi puoi aspettare ed essere rimandato indietro tante volte fino a radicalizzarti in un ostruzionismo.
Cosi' oggi è il Libano. Per chi ha fede, Dio ce lo ha messo davanti come un esempio di tutti noi non riuscito. Per chi non ha fede, ma ha tensione di coscienza e tensione etica, può valere ugualmente lo stesso. Per chi ha bisogno, le popolazioni meno colte e più disagiate questo esempio come lo possono comprendere? mantenute in uno stato di bisogno privo di cultura e obbligate da chi può avere bisogno di una continua ricerca di voti per continuare ad affermare un bene da slogan che non saprà farsi comune come lo possono comprendere? Se non si è radicato nel cuore della gente che a dare la forza a una fazione si vince una vittoria di Pirro sulle altre fino al giungere del crollare della stessa?
Come formare semplici esempi dei corsi e ricorsi della storia dell'umanità in tempi di decadenza?
Quando nella forza di una fazione non vince il bene in termini di corretta gestione delle forze della società si fa uno sforzo di squilibrio, nessuna popolazione potrà vincere.
Sì deve trasformare ciò che è trasformabile prima che l'altro si radicalizzi e si abbandoni a posizioni di chiusura da opprimenti muri.
Nel nostro odio.
Nella nostra superficialità
Nel nostro essere inaccoglienti che nasce dalla nostra storia pregressa di un non bene comune raggiunto.
Nella nostra mancata educazione al bene semplice.
Nella spinta all'edonismo di una vita del facile consumismo che sa farci chiudere gli occhi, per assuefarci alla violenza, al superficiale di noi stessi, e al non bene.
Chi accoglierà gli sfollati del Libano dovrà avere il tempo di lavorare su questo.
I flussi migratori provenienti dalle distruzioni dei mondi sono così rapidi e abbondanti da non dare né il tempo a sé stessi per ambientarsi e apprendere cosa siano etica e valori morali nei nuovi paesi di accoglienza.
Essi sono l''inaccoglienza in noi che nasce dall'essere fortemente impreparati al pensiero del bene comune in noi stessi.
Accoglie chi é capace di sapienza e ha una formazione integra, etica, predisposta al bene che può formare il bene perché crede nel bene.
Rifiuta chi ha ricevuto una formazione diversa, fatta dal sopravvivere nella vita col chiedere per dover corrispondere alle più dure leggi di un mondo che del consumismo impera nei suoi massimi esempi, e a questa gente non se ne può dare una colpa se è incapace di formare in chi giunge il pensiero etico.
Si doveva formare prima la gente per dare cultura e amore alla propria città, al proprio stato, al proprio continente di sentita appartenenza, al mondo in cui si respira tutti quanti insieme.
Si potrebbe cominciare a dare suoni di musica alla politica chiedendo che esprima con chiarezza e moderazione ciò che ha ottenuto per il bene comune. In quei momenti si dovrebbe gioire del ricevuto valore e, nel difficile, non dimenticare, ma non lasciar cadere tutto. Prenderne il valore e coinvolgerlo e diffonderlo, abbandonandone le imperfezioni accogliendole senza gettarle via.
Tutte le imperfezioni ritornano, quando sono gettate via, perché in fondo in fondo quando le gettiamo via sono nei nostri begli occhi.

(Rosi Lesto)

Rosi | 06/08/2020 ore 14:26:24 | @

 

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