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E' stato il figlio


FERMATA D'AUTOBUS

20 dicembre 2005 L'altro giorno ho dovuto prendere l'autobus. Fermata di periferia. Pioveva, quindi niente vespino, e al ritorno avevo un passaggio garantito, per cui il mezzo pubblico mi era sembrata una buona idea. Ora mi sento in dovere di giustificarmi perché l'autobus in questa Città è diventato un mezzo di trasporto per extracomunitari, diseredati e borseggiatori. Una persona perbene deve stare attenta a non farsi vedere in autobus: la gente, qualche amico, potrebbe pensare che un improvviso tracollo economico ti abbia privato di quelle due automobili che rispondono al fabbisogno personale minimo di ogni cittadino. Insomma, ero alla fermata e aspettavo l'autobus. Insieme a me c'erano due signore di colore che aspettavano pure loro. Io ero all'impiedi, loro sedute. È arrivato l'autobus, il mio. Le signore non si sono mosse, ma io ero all'impiedi. Con lo sguardo ho cercato lo sguardo dell'autista. Ma lui stava parlando con un passeggero e guardava diritto davanti a sé. Non ha rallentato. Nel giro di pochi istanti il mio sguardo è diventato implorante, ma l'autista ha continuato a non guardare e non rallentare. Come se non volesse fermarsi. Solo all'ultimo momento un soprassalto di vigilanza lo ha portato a ricordarsi della fermata che era sul punto di saltare. I nostri sguardi si sono incrociati. Anche lui mi ha visto. Ma la velocità era troppa, e in una frazione di secondo era già troppo tardi per provare a fermarsi. L'autobus ha tirato dritto, poi ha girato l'angolo. È scomparso. Quel che mi è rimasto nel cuore è stato solo quello sguardo fra me e l'autista, uno sguardo carico di implorazione da una parte e di fatalismo dall'altro. Come due innamorati che si danno addio per sempre senza trovare le parole per dirsi tutto quello che avrebbero voglia di dirsi. Chissà dove è finito quell'autobus che avrei voluto prendere, e per una giusta causa, in una città dove gli autisti possono decidere di saltare una fermata perché troppo impegnati a chiacchierare con qualcun altro. Chissà chi era quel qualcun altro che l'autista ha preferito a me. Chissà dove vanno tutti quegli autobus che ti capita di vedere circolare vuoti per le strade della Città. Chissà perché, vuoti? Io, per quanto mi riguarda, sono tornato a casa e ho preso il vespino. Pioveva, mi sono bagnato, ma pazienza.

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Roberto Alajmo | 21/01/2006

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