KAFKA SULLA SPIAGGIA (DI ALCAMO MARINA)
Esiste un cittadino italiano che per 36 (trentasei) anni ha vissuto in un romanzo di Franz Kafka. E non per modo di dire.
Di questi 36 (trentasei), 22 (ventidue) li ha trascorsi in carcere, da ergastolano. Vale a dire senza la speranza di venirne fuori.
Si chiama Giuseppe Gulotta ed è stato per tutto quel tempo il capro espiatorio selezionato e confezionato per la strage di Alcamo Marina: due carabinieri assassinati in circostanze mai del tutto chiarite.
Di lui hanno parlato i giornali perché alla fine ha ottenuto la revisione del processo ed è stato assolto con formula piena.
Errore giudiziario, dicono le cronache.
E invece no, perché nel suo caso non cè stato nessun errore. Un manipolo di carabinieri infedeli o forse: fedeli alla causa sbagliata ha scientificamente individuato Gulotta e altre quattro persone, le ha torturate e ha costruito per intero le false prove che servivano a incastrarli.
Adesso cè un libro che racconta questa storia tremenda, Alkamar, scritto dallo stesso Gulotta con Nicola Biondo, edizioni Chiarelettere. Dove si scopre che il colonnello Russo, ucciso poi dalla mafia, era un torturatore sistematico. Dove si scopre che larma dei Carabinieri a Trapani, negli anni, ne ha combinate di tutti i colori.
Ma quel che fa più impressione si legge fra le righe di questo libro. Si intuisce che nel corso di 36 anni il fatto che Giuseppe Gulotta fosse innocente lo sapevano praticamente tutti.
Lo sapevano i compagni di cella, che lo tutelavano.
Lo sapevano i secondini, che non infierivano.
Lo sapevano i magistrati che lo avevano condannato.
Lo sapevano i carabinieri che gli hanno lasciato due mesi di tempo, dopo la condanna definitiva, per scappare - e lui non è voluto scappare.
Lo sapevano i magistrati di sorveglianza, che prima ancora della revisione gli hanno concesso straordinarie licenze e permessi per lavorare fuori dal carcere.
Tutti sapevano, compreso qualche giornalista, e nessuno ha fatto niente, se non dargli delle gran pacche sulla spalla.
Tutte le persone che lo circondavano formulavano lo stesso pensiero autoassolutorio: peggio per lui che non è scappato.
Da leggere, per capire come sarebbe stato un romanzo di Kafka, se Kafka fosse nato in Italia.
Ammesso che non sia nato in Italia.

Roberto Alajmo | 27/08/2013
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