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il forum di Roberto Alajmo, scrittore





RACONTINO. ANIMALISTA ABORTITO

Questo è il racconto di un fallimento. Il racconto di un racconto che avrei dovuto scrivere e che non sono riuscito a scrivere. Il racconto di un aborto. Certo, non è facile ammetterlo, ma voglio essere sincero con i lettori: se continuerete a leggere sarà solo per godere dei dettagli della mia sconfitta. Sappiate che non è bello. Se invece deciderete di interrompere qui la lettura, io non vi serberò rancore. In ogni caso, amici come prima. La storia che avevo in mente doveva avere come protagonisti tre cani che vivono attorno a casa mia. La mia casa è precisamente al centro del triangolo compreso fra quelle dove vivono i tre cani. Sono cani che non ho mai visto. A orecchio direi che due sono di taglia media e uno di taglia grossa. Ma per fare questa affermazione mi baso esclusivamente su un'impressione uditiva, perché è vero che io non li ho mai visti, ma è vero anche che li sento sempre. Specialmente di notte. Anche se sospetto che nemmeno fra loro si conoscano personalmente, i tre cani comunicano parecchio. Dopo mezzanotte scoprono di avere un sacco di cose da dirsi, e se le dicono alla maniera canina, cioè abbaiando. Di solito comincia uno che si trova grossomodo a nord ovest della mia camera da letto. E' il più autorevole, quello che m'immagino più grosso, quello che in seguito condurrà tutta la conversazione. Poi gli risponde un altro dal lato sud - un cane anonimo, mi pare, un cane senza qualità. Per ultimo interviene il terzo, a sud est, un cane che non accetta mai di essere da meno degli altri. Sempre basandomi sullo stile del latrato, mi sono fatto l'idea che questo terzo sia un cane petulante, uno di quegli individui che tendono a ripetere le cose che hanno appena detto gli altri come se fossero un contributo originale alla discussione. Del trio, questo è di gran lunga il più irritante; ma anche gli altri non scherzano. Il problema è che nessuno dei tre accetta mai di cedere l'ultima parola. Magari certe volte tacciono per qualche secondo. Io ho il tempo di pensare: oh, finalmente. Ma poi c'è sempre un altro bau che riaccende la discussione, e fa in modo che riprenda con ancora maggiore accanimento - è il caso di dire. E si va avanti così per ore e ore. Nella mia testa il racconto si era andato formando prendendo spunto da questo concerto notturno di latrati. Nelle intenzioni avrei dovuto descrivere la mia personale insofferenza all'ossessione notturna che mi impedisce di dormire. E fin qui niente di particolarmente difficile, perché non avrei dovuto fare altro che guardare dentro di me e descrivere i miei sentimenti nei confronti dei tre cani. Sono sicuro che la prima parte del racconto sarebbe venuta benissimo, perché nei loro confronti provo sentimenti criminali, e il crimine è un argomento molto letterario. Vorrei proprio strangolarli. Non avvelenarli, come vigliaccamente fanno certuni appostando delle polpette al cianuro agli angoli dei giardini. No. Vorrei proprio strangolarli uno per uno. Specialmente il terzo e specialmente quando la notte mi rigiro nel letto ascoltando il loro ottuso abbaiare. Nel dormiveglia deliro di andare l'indomani a parlare coi loro proprietari per chiedere come fanno a dormire loro che uno dei cani ce l'hanno proprio sul balcone. Quando sono proprio esasperato immagino di andarci subito, nel cuore della notte, in pigiama: così sveglio anche loro, ammesso che stiano riuscendo a dormire. Lo sviluppo del racconto doveva essere proprio fondato su queste conversazioni mai fatte, durante le quali fantastico di scoprire che i cani sono innocenti, che la colpa è dei proprietari. Che, insomma, i tre cani hanno le loro buone ragioni per tenere queste conversazioni notturne a distanza. E proprio qui mi sono arenato. Ho provato a scrivere una traccia, ma appena rileggevo mi veniva la nausea per quanto era melenso ogni sviluppo che provavo a immaginare. Potrei a questo punto inserire un virgolettato per dimostrare la pochezza di quel che sono riuscito a scrivere. Ma è talmente poco, anche nella sua pochezza, che mi vergogno. E mi rifiuto di inserire. Per cercare di non scivolare sul patetico avevo persino pensato di non attribuire ai tre cani un nome canino. Niente Fido o Fulmine. Niente Pif o Cioppi. Del resto io non ho idea di come si chiamino, in realtà. Avevo pensato di battezzarli cane A, cane B e cane C, in modo che fosse chiaro il rifiuto di ogni coinvolgimento emotivo. Ma non c'era niente da fare. Lo zucchero veniva fuori a ogni riga. Risultava sempre che 'sti maledetti cani abbaiavano - abbaiano - per colpa dei padroni, cioè della società, cioè di nessuno. Scrivevo e cancellavo, scrivevo e cancellavo. Non riuscivo ad andare avanti. Finché ho smesso. Perché ho capito che non ero in grado di scrivere un racconto dalla parte dei cani. Non ero in grado per il semplice fatto che è proprio vero: la colpa è dei padroni. La colpa è della società. Per dire: forse i cani abbaiano perché non dovrebbero vivere in un appartamento. Se fossero liberi probabilmente si vedrebbero da qualche parte, e di presenza potrebbero abbaiare sottovoce, con sollievo di tutto il quartiere. Magari i loro padroni, dopo anni di averli fra i piedi, li odiano. E più abbaiano, più quest'odio va montando. Magari loro cercano di leccare la mano dei proprietari e quella stessa mano li scaccia. Magari la prossima estate questi stessi cani verranno abbandonati sulla strada per le vacanze. Non vado oltre perché rischio di ripiombare nella melensaggine di cui sopra. Mi rendo conto che la constatazione d'innocenza canina attiene alla categoria dei luoghi comuni. Ma non posso farci niente. Spesso i luoghi comuni sono realtà che si trovano davanti agli occhi di tutti e che a forza di assuefazione finiamo per non vedere più. Ma non per questo i luoghi comuni sono meno autentici. Solo che su questo io non riesco a scrivere un racconto. Proprio no. Non riesco a scrivere di cani abbandonati in strada senza immaginare l'inseguimento all'automobile che scappa via. Non posso scrivere della clausura condominiale dei tre cani senza descrivere occhietti languidi e voglia di correre repressa. Non riesco a scrivere senza scadere nel sentimentalismo di cani chiusi in due metri quadrati di balcone che abbaiano alla luna. Questo è un problema mio - certo: quando scrivo e quando cerco di dormire - ma mi rendo conto che è soprattutto un problema dei cani. * Testo apparso nel 2004 in una antologia per l'editore Ancora del Mediterraneo.

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Roberto Alajmo | 11/11/2006

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