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LA STRATEGIA DEL SILENZIO

Effettivamente, il dubbio viene: com’è che in una temperie come questa che stiamo vivendo, a me non viene da dire niente? Non mi viene nemmeno voglia di indossare la maglietta rossa o iscrivermi all’appello marketing di Rolling Stone. Non sarà una forma strisciante di diserzione?
Può darsi.
Oppure può darsi che, nel frastuono inconcludente di questi mesi, ogni volta che viene voglia di dire sommessamente qualcosa, questo qualcosa è stato già urlato da qualcun altro. Quindi non era nemmeno qualcosa di tanto originale. Ogni opinione ragionevole viene sommersa da schiamazzi e, in fin dei conti, risulta fiato sprecato. Assuefazione al rumore di fondo.
Forse in un momento del genere, in attesa che qualcuno capisca come meglio impiegare le energie, conviene risparmiare il fiato e le forze. Accovacciarsi per poter poi spiccare meglio il salto.
C’è un archetipo di eroe che, malamente ferito, trascorre lunghi mesi, forse anni, a cercare di guarire, rimettersi in forma, addestrarsi in segreto, aspettando che arrivi il momento della rivincita. Nella dinamica politica funziona un po’ come a Risiko: dopo una batosta è inutile provare a rifarsi attaccando con due carrarmatini.
Aspettare, invece. Pianificare, ricostruire senza clamore, confidando in una certezza: la storia non si ferma. Certe volte fa delle lunghe digressioni e sembra tornare indietro. Ma è un tornante, e in realtà va sempre avanti.
Se rimane in silenzio Obama, il mondo potrà fare a meno anche delle mie opinioni, per qualche tempo.

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Roberto Alajmo | 07/07/2018

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