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UNA STORIA INVEROSIMILE

Capita di tornare in una città e ritrovarsi per caso in un luogo che in passato ha avuto una grande importanza, per te.
A Barcellona, improvvisamente: sotto la casa dove Lorenzo Vecchio visse i mesi del suo Erasmus.
Ci sono storie troppo vere per avere anche la pretesa di risultare verosimili. Storie esagerate. Sono quelle storie che uno scrittore, dopo averle prese in considerazione, pensa: no, questa ai miei lettori proprio non posso fargliela bere. La storia di Lorenzo Vecchio è così: troppo esageratamente tremenda per essere messa in un romanzo. Appunto perché troppo romanzesca. Un ragazzo di ventitre anni che scrive un romanzo nel quale cerca di concentrare tutto quello che gli resta da dire, che è molto, perché ancora non ha nemmeno cominciato a dispiegare la sua voce. Lui sa che non gli rimane molto tempo per scrivere le cose che gli stanno veramente a cuore. Ma allo stesso tempo si mette a scrivere con leggerezza, come se non volesse pesare sulle spalle del mondo.
Questo breve romanzo viene pubblicato, e vince anche un premio importante. Ma alla vigilia, entra in coma. Provano a dirglielo durante un breve attimo in cui sembra sul punto di risvegliarsi, ma non è sicuro che l’abbia capito. Di certo non è in grado di apprezzare la notizia e di godersela, perché dopo pochi giorni muore.
E’ verosimile una storia del genere? Può mai essere accettabile per la sensibilità di un lettore? Non è che Dio stavolta ha voluto esagerare con gli effetti da quattro soldi? E ancora prima, l’eterna messa in dubbio: esiste, questo famoso Dio?
Neppure Lorenzo Vecchio avrebbe potuto scriverla, una storia del genere. Lui era l’unico che sarebbe stato autorizzato, aveva tutti i motivi per raccontarla. Ma sarebbe stato il primo a disprezzarla perché la morte di uno scrittore di ventitre anni alle soglie del successo è davvero troppo grossolanamente tragica per essere scritta, tanto più nello stile sottilissimo e discreto che contraddistingueva Lorenzo Vecchio.
C’è qualcosa di inaccettabile nella morte di un ragazzo di ventitre anni. Vengono in mente le pagine della Peste in cui Camus lancia l’invettiva del suo protagonista contro il prete che cerca con gli strumenti della sua religione di spiegare l’inspiegabile, ossia la morte di un bambino. Ecco: uno scrittore di ventitre anni è ancora un bambino. E di fronte alla sua morte - una morte così, proprio volgare - verrebbe voglia di pensare che allora veramente Dio esiste: ma è un Dio cattivo.

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Roberto Alajmo | 23/06/2015

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