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LA SCUOLA ADOTTA UNO SCRITTORE, TORINO 2017

Ventiquattro ragazzi intorno ai sedici anni possono essere un muro. Un muro alzato a distanza di sicurezza: i primi banchi restano vuoti prudenzialmente. Nel caso io diventassi mortalmente noioso, loro potrebbero gettarsi a terra e strisciare fuori sui gomiti come soldati sotto il fuoco nemico, trovando scampo da una porta provvidenziale che si apre alle loro spalle.
Poi, col passare dei minuti e delle ore, il muro si va delineando nei singoli mattoni di cui è composto, secondo la più tradizionale distribuzione scolastica di personaggi e interpreti. C’è la ragazza secchiona, la furbetta seduttiva, l’integralista della timidezza che vorrebbe fare lo scrittore, il ragazzo intelligente che però non vuole fare un cazzo, i due o tre che sembrano più interessati, anche loro aggrappati con entrambe le mani al freno a mano della timidezza, più naturalmente i quattro o cinque che sono lì solo perché li hanno costretti con la forza. A questi ultimi va la mia solidarietà più totale, ma si consolino: sempre meglio le mie chiacchiere che una lezione di matematica.
Si distinguono i mattoni, ma resta il muro, difficile da scalfire e anche da scavalcare.
In questi giorni posso arare in verticale il muro e piantare dei semi negli interstizi fra un mattone e l'altro. Ma sono semi che germoglieranno, se germoglieranno, sul lungo periodo. E non più di due o tre, nella migliore delle ipotesi. Gli altri semi seccheranno, come è naturale che sia. Se uno di questi semi è destinato a generare una pianta, e se la pianta darà frutti, lo si scoprirà fra una ventina d’anni. E io non lo saprò mai.
Per la maggior parte di loro io rappresento una memoria che la selezione del tempo si incaricherà di cancellare per fare spazio a esperienze nuove e più eccitanti. Per i pochi altri, uno scrittore venuto da un’isola lontana, che ha detto delle cose, alcune anche interessanti.
E fra vent’anni i pochi che germoglieranno e manterranno memoria, si chiederanno: “Ma quello scrittore siciliano, di preciso, come si chiamava?”

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Roberto Alajmo | 11/04/2017

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