REMIX: MORIRE, DORMIRE, FORSE SOGNARE
Cè questo tizio che va in coma e ci resta una settimana. Si chiama Eben Alexander. Poi si sveglia e racconta del posto dovè stato: un regno fatto di nuvole, viaggi su ali di farfalla, brezza divina. Al centro di tutto: un Essere Onnisciente.
E siccome Eben Alexander non è una beghina svampita o un pastorello dei Pirenei, ma uno stimato neurochirurgo, la storia finisce sulla copertina di Newsweek.
Le reazioni, a secondo di come la si pensi, possono essere due.
La prima, scientifica: il coma lo ha fatto sbroccare.
La seconda, religiosa: avete visto? Che cosa vi dicevamo?
Esiste però una terza via. Un ragionamento intermedio che fa salva la sanità mentale e la buonafede di Alexander, spiegando al contempo come mai il paradiso che ha visitato pro-tempore somigli tanto al paradiso come viene descritto da Dante e dai manuali di catechismo.
Il coma è una specie di sonno. Nel sonno si sogna, giusto? Eben Alexander ha dormito e ha sognato. E ha sognato ciò che duemila e passa anni di cristianesimo hanno inculcato nellimmaginario collettivo, cioè un aldilà con le nuvolette e tutto il resto.
Se così fosse vorrebbe dire che, ok, il paradiso non esiste; ma esiste la possibilità che dopo un bimillenario lavaggio del cervello, dopo morti siamo destinati a sognare il paradiso. E non è questo, il paradiso? Preservare la laicità della nostra coscienza, e prendersi il meglio quando avremo la peggio.

Roberto Alajmo | 25/02/2017
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