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QUESTO PEZZO NON SI INTITOLA "CIAO ELVIRA"

La morte di Elvira Sellerio ha portato con sé una zavorra di retorica funeraria, come spesso avviene in questi casi. La modalità tipica della memoria a uso stampa è stata “Io e…”. Ne vengono fuori delle istantanee come quelle che si vedono nelle trattorie caserecce, o nei negozi di barbiere di una volta, dove le pareti erano tappezzate di foto del titolare abbracciato a una celebrità dello sport o dello spettacolo nel cui sguardo si leggeva spesso: e questo chi è?
Nella migliore delle ipotesi, a latere della figura da commemorare, si celebra la propria amicizia e vicinanza. Nella peggiore: la propria sopravvivenza.
Il sottoscritto, facendosi forte della propria sostanziale estraneità, vuole aggiungere al sabba della retorica autocentrica una sola considerazione.
Elvira Sellerio era donna di intelligenza ostinata e scontrosa. Spesso così è l’intelligenza dei siciliani migliori. Ostinata. E scontrosa.
Aveva una sua idea dell’impegno senza ostentazioni. Ha attraversato il meglio e il peggio degli ultimi quarant’anni di Sicilia senza mai cedere alle tentazioni apertamente “politiche”. Viaggiava su binari che appartenevano solo a lei.
Questa, che era la sua migliore prerogativa, era anche il suo limite, il limite di noi siciliani che immodestamente pensiamo di essere migliori: viaggiamo ciascuno sul proprio binario, senza incontrarci mai.
Senza nemmeno riconoscerci fra noi, certe volte.

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Roberto Alajmo | 06/08/2010

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