NON PIU' MILLE
(Giacomo Di Girolamo, Antonella Genna e Francesco Timo hanno scritto un bel libro, molto ben documentato, che si intitola "Non più Mille". Questa è una specie di prefazione)
Negli annali del pianeta terra, il quattordici giugno del millenovecentottantasei sarà ricordato come il giorno in cui è morto lo scrittore argentino Jorge Luis Borges.
Levento luttuoso rischia di oscurarne un altro, avvenuto quello stesso giorno, che almeno nellimmediatezza era risultato di segno diametralmente opposto, festoso: la posa della prima pietra del monumento marsalese dedicato allImpresa dei Mille.
Quando si dice la coincidenza.
Nel racconto più famoso di Borges, lAleph, in un singolo piccolissimo punto andavano a concentrarsi tutte le cose del mondo. E una specie di Aleph molto italiano è quello che oggi appare come il relitto del monumento garibaldino di Marsala. Dovendo scegliere un luogo emblematico, è in quellangolo di Sicilia che si vanno a coagulare tutti i sintomi del coma nazionale degli ultimi venti anni.
Un monumento che ha modificato la propria dedicazione duso, da risorgimentale che era, per diventare una celebrazione implicita delleterno incompiuto.
Incompiuto, irrisolto, degradato.
Una storia esemplare fin dallinizio, con la prima pietra collocata in palese condizione di abusivismo, di fronte alle autorità schierate. Comprese quelle stesse autorità che hanno successivamente fatto rilevare lo stato di irregolarità.
Da allora in poi, attorno al rudere di Marsala si è andato a saldare il peggio del peggio: oltre alla sciatteria burocratica e alla malafede amministrativa, anche il revisionismo storico, che nel frattempo ha degradato limpresa dei Mille da epopea a sciagura nazionale. La retorica patriottarda craxiana al confronto era peccato veniale. Da rimpiangere, persino.
Nella discarica che il monumento a Garibaldi è diventato, gli autori di questo libro sono andati a cercare le ragioni di un piccolo collasso locale che è anche una grande metafora.
Così, lettore, dovresti leggere questa storia: come una metafora del Grande Collasso Italiano di questi anni.

Roberto Alajmo | 30/07/2010
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