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COPERTINA MATTO AFFOGATO


IL FORMICAIO

I bambini corrono in gruppo, ma ce n'è sempre uno che rimane indietro. Nel caso, a rimanere staccato era Salvo, che essendo il più tondo della compagnia, era il meno propenso alla corsa e ai giochi di prestanza fisica. Gli sarebbe piaciuto, in teoria Bandiera, ma risultava sempre troppo lento per sfuggire al tocco mortale sulle spalle che gli arrivava regolarmente, più doloroso di una pugnalata a tradimento, seguito dal sarcasmo degli amici. Insomma, Salvo era quello che rimaneva indietro. Rimase indietro anche quel giorno di pieno inverno, sul sentiero di campagna che percorrevano per arrivare al campetto dove ogni pomeriggio giocavano a pallone. Anche il calcio non era l'ideale, per lui. Al momento di tirare a sorte le squadre, era sempre l'ultimo a essere scelto e il primo a finire in porta, sulla base di una gerarchia non scritta ma inesorabile: i bravi in attacco, i meno bravi a centrocampo, i medio scarsi in difesa e gli scarsi a parare. Era grazie a questo schema tattico che le partite finivano sempre con moltissimi gol. Si capisce quindi che Salvo non avesse nessun desiderio di giocare a pallone, e seguiva gli altri solo per stare in compagnia. Gli amici erano quasi arrivati al campetto quando lo sentirono chiamare: - Où! Où! Di norma, quando Salvo chiamava, raramente gli amici stavano a sentire che voleva. E anche quella volta se ne sarebbero fregati, se non fosse che Salvo continuò a chiamare: - Où! Où! Talè! Bìììì! Non fu tanto l'invito a guardare quanto il verso di sorpresa a convincere il gruppo a rinviare il calcio d'inizio e accertare ciò che Salvo aveva tanto a cuore. Lo videro inginocchiato in mezzo al sentiero, che osservava qualcosa. Non chiamava più e sembrava assorto, per cui gli amici si convinsero che non si trattava del solito millantato allarme che Salvo ogni tanto organizzava per richiamare l'attenzione su di sé. Tornarono sui loro passi pensando che avesse trovato non meno di cinquecento lire; ma non erano soldi che aveva trovato. Era un formicaio. Somigliava a un vulcano in miniatura che eruttava lava nera intermittente. La lava erano le formiche, indaffarate a trasportare quelli che avevano tutta l'apparenza di microframmenti vegetali. Era raro trovare formiche attive in pieno inverno, e la cosa suscitò anche presso gli amici lo stesso scalpore che aveva suscitato in Salvo quando l'aveva scoperta. Il movimento delle formiche era frenetico, come se avessero una scadenza da rispettare nella consegna delle provviste e fossero in enorme ritardo. Se la loro scadenza era l'inverno, ormai potevano pure fare a meno di affrettarsi, perché faceva un freddo becco, e in quella stagione le formiche avrebbero fatto bene a ricoverarsi in un posto sicuro, con o senza provviste. Intorno al formicaio si creò un capannello di ragazzini incuriositi. Osservando meglio, videro una cosa strana: le formiche non trasportavano le provviste dentro il formicaio, ma le tiravano fuori. Lo stavano svuotando, o almeno così pareva. Uscite dal formicaio, formavano una fila che attraversava diagonalmente il sentiero e si andava a perdere fra le sterpaglie. Provarono a seguire la fila, ma fu inutile: cardi e ortiche rendevano oltretutto dolorosa ogni ulteriore investigazione. L'unica cosa sicura era che le formiche, dopo aver scaricato le provviste, formavano un'altra fila parallela che tornava alla tana. In questa fase i ragazzini fecero molta attenzione a non interferire col fervore degli insetti. I loro occhi guardavano, i loro corpi incombevano, ma i loro piedi stavano bene attenti a dove si posavano. - Che fanno? Domandò Calogero, che sentiva sempre il bisogno di dire le cose che agli altri bastava pensare. - Lavorano. Rispose Salvo, che pur non avendo nessuna cognizione in quanto a vita delle formiche, si sentiva investito dell'autorevolezza di chi aveva scoperto quello spettacolo naturale e poteva quindi dispensare informazioni. Domandò ancora Calogero: - E che fanno? - Trasportano cose da mangiare. - Per chi? - Per loro. - Per mangiarsele loro? Salvo non rispose, un po' perché aveva già risposto, un po' perché non sapeva che altro rispondere, ma anche perché era ipnotizzato da quell'andirivieni nero enigmatico. Disse solo: - Guarda. Le formiche sembravano annusarsi, quando si incrociavano. Un breve scambio di informazioni olfattive e proseguivano in opposte direzioni, accelerando per recuperare la frazione di secondo che avevano perso ad annusarsi. Calogero domandò: - Ma quante sono? E stavolta Salvo si sentì di rispondergli: - Milioni. - Milioni? Tutte qua sotto terra? - Eh. - Sotto i nostri piedi? - Eh. - E dove? Nelle gallerie? - Eh. - Bìì! E quanto sono lunghe 'sti gallerie? - Eh: chilometri. Spiegò Salvo, che non sapeva precisamente quanto fosse lungo un chilometro, ma sentiva di potersi sbilanciare. Calogero fece una pausa, ma non troppo lunga: - E loro ci vedono? - Non credo. - No? - No, non ci vedono. Vivono sottoterra e non ce l'hanno gli occhi. C'hanno le antenne. Seguì un lungo silenzio. Non c'era molto altro da sapere, se non dove stessero trasferendo quel ben di dio che si affrettavano a trasportare. Dopo un po' Salvo si accorse che l'osservazione pura e semplice del formicaio, che li aveva assorbiti per qualche minuto, stava per diventare noiosa. Prima che fosse qualcun altro a proporlo, o a farlo direttamente, volle essere lui a lanciare l'idea: - Le schiacciamo? Due o tre amici gli risposero quasi allo stesso tempo: - Schiacciamole. Dopo il tempo in cui erano rimasti assorti - un tempo lungo, per dei bambini di dieci anni - si lasciarono improvvisamente prendere da una frenesia distruttiva. Tutti assieme cominciarono a pestare i piedi e a saltare sul formicaio distruggendolo e uccidendo il maggior numero di formiche possibile, seguendo le due file e facendo strage. Immaginavano i chilometri di gallerie che stavano facendo crollare, l'ulteriore disastro invisibile che stavano provocando sottoterra. Salvo, ringalluzzito dal successo della sua iniziativa, credette di fare lo spiritoso gridando: - Il terremoto! Il terremoto! Gli altri risero, e Salvo si sentì accettato dal gruppo. Si lasciarono alle spalle i ruderi del formicaio e andarono a fare la loro partita a pallone durante la quale, senza sconti, Salvo fu messo a parare. Una squadra vinse, l'altra perse. La giornata finì, venne la sera e poi la notte. Fu una notte molto fredda e movimentata, nella valle del Belice: la notte fra il quattordici e il quindici gennaio del millenovecentosessantotto.

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Roberto Alajmo | 17/02/2007

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