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Cuore di madre


LA MONTAGNOLA

Lo scorso anno, al primo accenno di primavera, assieme a mia moglie e mio figlio andammo a trascorrere un fine settimana in un'azienda agrituristica, La Montagnola, vicino Santa Margherita Belice. Con questo genere di posti in Sicilia bisogna essere fortunati, perché la maggior parte delle volte si tratta di una villetta in stile abusivismo edilizio in cima a una montagna perfettamente brulla. La Montagnola, invece, era una delizia: un casale immerso nel verde e cinghiali ("Guarda il cinghiale, Arturo!"), e cavalli ("Guarda il cavallo, Arturo!"), e daini ("Guarda il daino, Arturo!"). I contadini al mattino facevano col latte appena munto dalle mucche locali ("Guarda la mucca, Arturo!") un formaggio sciapo ma genuino ("Guarda la tuma, Arturo!"). L'indirizzo lo avevamo trovato su Internet e il posto era abbastanza pubblicizzato, per cui fummo sorpresi dal fatto di essere gli unici ospiti. Pensammo che fosse la solita storia, che la gente preferisce affollarsi sempre negli stessi posti e tralasciare gli altri, anche quando sono veramente belli. Peggio per loro, pensammo. A portare avanti l'azienda era una simpatica signora toscana che aveva sposato un siciliano, figlio di un deputato regionale del PCI del dopoguerra. La signora Montalbano cucinava personalmente delle polpette straordinarie ("Il segreto sta nella mollica del pane che si usa per l'impasto"). Ad aiutarla venivano dei contadini silenziosi ed efficienti che portavano in cucina i prodotti della terra e scomparivano dicendo solo le parole indispensabili. Alla Montagnola c'era molto silenzio, specialmente quando eravamo a tavola, soli davanti al camino. Si sentiva solo Arturo, che veniva zittito anche se non c'era nessun altro, per rispetto alla quiete del luogo. La signora Montalbano ogni tanto veniva a verificare che tutto andasse bene e in questo modo, poco a poco, credemmo di entrare in confidenza. Ci raccontò la storia della fattoria e di come era stata trasformata dal settecento in poi. Le chiedemmo della sua famiglia e in particolare di suo marito, che nelle conversazioni veniva citato con l'appellativo di Ingegnere. Ci disse che l'Ingegnere era a Palermo e che difficilmente sarebbe venuto in quei giorni. In compenso la domenica mattina vennero i nipotini che giocarono con Arturo e guardarono con lui gli animali: cinghiali, cavalli, daini e mucche locali. Assieme alla signora Montalbano, man mano che la confidenza progrediva, guardammo le foto di famiglia, con l'Ingegnere e il padre dell'Ingegnere in pose diverse. Guardammo anche la biblioteca coi libri sulle lotte contadine e ci scambiammo consigli di lettura. Personalmente le prescrissi L'Ultima provincia di Luisa Adorno: storia di una donna che viene dalla Toscana a sposare un siciliano e a vivere con la famiglia di lui osservandone con affettuosa ironia usi e costumi. Al culmine della confidenza affrontammo il più delicato degli argomenti. A me riusciva difficile credere che nella zona non avessero mai avuto problemi con le cosche agrigentine. La signora mi rassicurò: nessun problema. Mai? Mai, nemmeno l'ombra dell'intimidazione. La signora Montalbano, coi suoi capelli bianchi e le c aspirate non aveva per nulla l'aria di mentire. Me ne convinsi guardando fuori tutto quel verde nella desolazione della campagna siciliana: la mafia doveva per forza restare estranea a quel posto meraviglioso. Facemmo poi quel genere di discorsi che si fanno guardando un paesaggio siciliano: povera terra, tanto bella e tanto addolorata. Se non ci fosse la mafia sarebbe il paese più bello del mondo. Io annuivo, mia moglie annuiva. Ora, a distanza di tempo, mi pare che annuisse per simpatia anche Arturo. Andammo via dalla Montagnola carichi di tuma, ricotta e miele, fermamente decisi a tornare. Con la signora Montalbano ci abbracciammo e baciammo, persino. Tornammo in Agosto, di passaggio, giusto per salutare. La signora però non c'era. E non c'erano nemmeno ospiti. Nemmeno contadini. Il posto aveva un'aria trasandata, come se nessuno se ne occupasse da tempo. Alla fine venne fuori un custode che fu evasivo: "La signora non c'è", disse, e fu tutto quel che riuscimmo a sapere. Il resto lo sapemmo proprio quando, tornata la primavera, pregustavamo di passare un altro fine settimana in mezzo a daini e cinghiali. Lo sapemmo dai giornali, quando la cooperativa Montagnola fu sequestrata per ordine della procura di Sciacca assieme a società, imprese, alberghi, terreni e appartamenti. Per la precisione centottantacinque appartamenti tutti intestati all'Ingegnere Montalbano o a suoi familiari, signora Montalbano compresa. Fra i centottantacinque appartamenti ce n'era uno particolarmente significativo. Era quello - via Bernini numero 52 - in cui Totò Riina aveva passato l'ultimo periodo della sua latitanza. L'appartamento che nei giorni successivi all'arresto del capo dei capi fu dimenticato dai carabinieri e ripulito da non si sa chi. Scoprimmo in questo modo che l'Ingegnere era il padrone di casa di Riina e scoprimmo un sacco di altre cose: Giuseppe Montalbano, di anni sessantacinque, dopo essersi laureato in ingegneria aveva superato il concetto di lotta di classe propugnato dal genitore comunista maturando un suo personale approccio compromissorio al capitalismo, approccio che lo aveva portato all'accumulazione di beni immobili per cinquecento miliardi. Scoprimmo, anche, che mentre noi ammiravamo i daini della Montagnola, l'Ingegnere, accusato di aver favorito la latitanza di Salvatore Di Gangi, capo della cosca di Sciacca, si trovava all'Ucciardone già da un mese.In effetti, come sosteneva sua moglie, era a Palermo. In effetti, come sosteneva sua moglie, era escluso che in quei giorni venisse alla Montagnola. Il giornale riportava una breve biografia giudiziaria. Dell'Ingegnere aveva parlato Balduccio Di Maggio, dicendo che era "disposto per qualsiasi cosa". Tanto per dirne una, fu l'ingegnere Montalbano a rilevare nell'84, durante un'operazione di alleggerimento, le quote della Arezzo Costruzioni di proprietà di Saveria Palazzolo, ossia la moglie di Bernardo Provenzano. Il giornale diceva infine che in febbraio, per decorrenza dei termini di custodia cautelare, l'ingegnere Giuseppe Montalbano era stato rimesso in libertà. Man mano che leggevamo ad alta voce queste notizie sul giornale ci venivano in mente alcuni diversi dubbi. E precisamente: 1) Se per caso la signora Montalbano conosceva la signora Provenzano. 2) Se conversando con lei adoperava la cadenza toscana o la smorzava per capirsi meglio. 3) Se era in virtù di questo capirsi che lei escludeva minacce mafiose. 4) Se era a questo contesto che si riferiva Peppino Di Lello quando, da magistrato della procura di Palermo, una volta disse che poche cose aveva capito della Sicilia, anzi, forse, una sola: meglio frequentare il minor numero di persone possibili. E soprattutto, infine, 5) Se: a) considerati i giorni idilliaci passati alla Montagnola, b) considerato che mentre guardavamo i daini e parlavamo di libri con la signora Montalbano nella camera accanto alla nostra poteva benissimo esserci Bernardo Provenzano in persona latitante, c) considerato innocente Arturo che aveva all'epoca tre anni, putacaso noi due - marito e moglie, adulti colti e consapevoli, nella pienezza dei nostri mezzi intellettivi e interpretativi - risultassimo essere, praticamente, due fessi.

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Roberto Alajmo | 19/03/2006

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