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SPAZIO ALAJMO VINTAGE: IL BAMBINO E IL PALLONE

(Questo pezzo è stato scritto cinque anni fa)
Michele Serra chiede se sia possibile spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dall’inadeguatezza del centrosinistra all’inadeguatezza del centrodestra. Per favore. Anche solo momentaneamente.
Chiede, in particolare: “è possibile che il centrodestra italiano, nonostante si avveda che l’avversario politico è in catalessi, si ritrovi ancora con un leader del genere? Non ce n’è uno meno meglio, più moderato, meno irritante, più legalitario, meno esibizionista, insomma più normale e più votabile?”.
Leggendo queste due domande, che poi sono un’unica domanda, io ho avuto la netta sensazione di un deja vù. Pur non avendo mai fatto parte della cosiddetta casa delle cosiddette libertà, io per un attimo sono stato sicuro di aver già vissuto, e dal di dentro, una situazione del genere.
Ci ho riflettuto su. Era un ricordo antico, ma alla fine sono riuscito a metterlo a fuoco. Quando ero piccolo ho conosciuto davvero un bambino così. Era piccoletto, anche fisicamente simile all’attuale leader del centrodestra: ricco, arrogante, sbruffone. Soprattutto, pretendeva di saper giocare a pallone meglio di tutti gli altri. Era sui campi da gioco che la sua presenza si faceva ingombrante, nel senso di insopportabile e indispensabile al tempo stesso. Pretendeva di decidere sulla composizione delle squadre, sulla scelta del campo, sul calcio di inizio, su ogni singola azione fallosa propria o altrui. Pretendeva di giocare in attacco, pretendeva che la palla venisse passata sempre e solo a lui. Pretendeva persino che in porta la squadra avversaria schierasse una schiappa conclamata, in modo da poter fare gol più facilmente.
Forse tutti ne abbiamo conosciuto uno così, nella nostra infanzia. Ogni tanto passava il segno, non ne potevi più e decidevi di mandarlo a fanculo, ma lui metteva su un ghigno, sicuro del fatto suo. E il paradosso era che, malgrado fossero tutti d’accordo con te, erano gli stessi compagni a trattenerti, a farti riflettere, a dirti che non era il caso.
Tanto che alla fine ti trattenevi, ci riflettevi e capivi che avevano ragione: non era il caso. E per un motivo semplicissimo. Perché il pallone era suo. Ogni volta che qualcuno lo contraddiceva, lui minacciava di andare via portando con se il suo preziosissimo pallone di cuoio, l’unico che avevamo a disposizione. E senza pallone non si poteva giocare. Lo faceva, anche. Faceva finta di farlo: si metteva il pallone sotto il braccio e si allontanava sdegnato per alcuni passi. Tanto bastava a sollevare un piccolo coro di servilismo da parte di tutti noi: ma no, rimani, dài, hai ragione tu. Nella stessa situazione si trovano adesso i componenti del centrodestra: vorrebbero fare una partita vera, con un centravanti democraticamente designato, ma non possono perché i soldi e le televisioni sono in mano a quell’unico insopportabile bambino. Lo odiano e allo stesso tempo non possono farne a meno: perché il pallone è suo.

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Roberto Alajmo | 19/02/2012

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