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TEMPO APPIATTISCE MEMORIA

Il bellissimo documentario di Wim Wenders sulla vita di Sebastiao Salgado ha il merito di individuare un nostro contemporaneo di cui andare orgogliosi: una missione sempre più difficile.
A parte tutto il resto, che è molto, si ripercorrono quarant'anni di ignominia perpetrata dall'uomo nei confronti dell'uomo, con riflessioni che vanno molto oltre la fotografia.
A un certo punto si racconta l'esperienza di Salgado in Ruanda negli anni novanta, quando avvenne la brutale guerra civile che contrapponeva Hutu e Tutsi.
Tu ricordi che seguisti le notizie che provenivano da quel paese, e leggesti molte delle cose che bisognava leggere. Sapevi quel che c'era da sapere.
Ti eri fatta una precisa idea di chi fossero le vittime e chi fossero i carnefici. Una delle due etnie aveva la responsabilità morale del massacro. Ne eri sicuro, sulla base delle informazioni che avevi raccolto, nella convinzione che fosse giusto mantenere la memoria delle catastrofi umanitarie.
Sono passati solo vent'anni, e vedendo il documentario di Wenders ti sei reso conto che non sei più in grado di ricordare se i buoni erano gli Hutu o i Tutsi.
Il tempo è passato come un rullo compressore sulle colpe, lasciandosi alle spalle solo una marmellata di dolore indistinto.
Non è per niente giusto. Ma funziona così. Presto Hutu e Tutsi, i buoni e i cattivi di tutte le guerre, saranno come l'Eretico e l'Inquisitore di Borges, che dopo i loro atroci contrasti andarono a fondersi e confondersi nella mente di Dio.

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Roberto Alajmo | 15/11/2014

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