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MATTI TRIESTINI

(Per il libro che ho curato di recente per "Il Saggiatore" e intitolato "Repertorio dei Matti d'Italia" ho scritto il capitolo dedicato a Trieste. Ecco come comincia)

Uno, il più matto di tutti, aprì le porte del manicomio e fece scappare via tutti. Quelli che potevano fare? Certuni nemmeno ci credevano, esitavano. Ma insomma: andarono per le strade, cosa che non si era mai vista.
Le persone perbene facevano finta di non vederli, e fu per questo che la cosa funzionò.
Fu da allora che per dire uomo, in dialetto si disse matto:
- Quel mato el xé mato.
La bora fece il resto, tanto che impazzito si dice imborezà.

Uno era un settantenne che si vedeva spesso in piazza della Borsa. Possedeva un paio di scarpe bianche da tennis molto più grandi della sua misura. Aveva un’andatura sincopata, nel senso che camminava fermandosi ogni tanto a guardare le scarpe per vedere se c’erano ancora, e quanto erano belle, e se erano ancora perfettamente bianche.

Uno era l’Omo Vespa, che aggrediva le donne e le colpiva alle natiche con un punteruolo. Scrisse pure una lettera al Piccolo, sostenendo di essere in missione per conto di Dio, che gli chiedeva di castigare a campione la spudoratezza delle donne.
Dopo un mese, così come era comparso, scomparve.

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Roberto Alajmo | 11/08/2012

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