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BARTLEBY IL COMMISSARIO

(Da Repubblica)
Bisogna fare uno sforzo per immaginare come dev’essere la vita quotidiana, il lavoro del Commissario dello Stato. Immaginare forse un grande ufficio, una grande scrivania: e lui solo nella stanza. Al massimo, ogni tanto, un segretario bussa e viene a portargli delle carte da firmare. Lui firma. Legge e firma. Oppure, eccezionalmente: legge e non firma. Non tanto spesso, però succede. Di recente è successo tre volte. Tre leggi regionali confezionate senza prevedere una copertura finanziaria adeguata e affidabile, tutte rimandate al mittente in quanto incompatibili con l’articolo 81 della Costituzione.
(...)
Ora arrivano questi altri due stop, che vanno a colpire Formazione e Credito d’Imposta, altri punti nevralgici del sistema autoportante regionale. Autoportante: perché se la Regione Siciliana ancora si regge in piedi è sull’abbrivio di provvedimenti del genere.
È facile immaginare che anche stavolta non saranno poche le famiglie destinate a piombare dalla speranza alla disperazione. Il fatto è che le famiglie hanno ragione (quasi tutte), e ha ragione persino il legislatore regionale, che i suoi provvedimenti li deve fare e li fa. Ma ha ragione pure – anzi: soprattutto - il Commissario dello Stato, cui tocca l’ingrata parte dello sconzajoco. Dietro ogni suo impuntamento bisogna immaginare un rammarico: certo, sarebbe bellissimo, però…
I però del Commissario dello Stato somigliano molto ai Preferirei di no di Bartleby lo Scrivano: cortesi e irremovibili. Tanto da costringere ogni volta la Regione a mangiarsi il cappello della propria sbandierata autonomia per riscrivere, riformulare, riproporre. E abbiano pazienza tutte le persone illuse, coinvolte e infine gettate nella disillusione.
La triplice bocciatura nell’arco di pochi giorni lascia intravedere anche un ulteriore retroscena. Volendo pensar male, si sarebbe portati a immaginare che il legislatore regionale, una volta scoperto il meccanismo, ci marci un po’.
Nel senso che tutto sommato non costa niente dire di voler assumere precari, dire di voler stanziare somme finanziarie che poi, alla prova dei fatti, non esistono. Ancora più credibile è confezionare un provvedimento di legge mettendo un bollo formale sul mantenimento di qualche promessa. Soprattutto sapendo che poi ci sarà qualcuno che intercetterà i buoni propositi e costringerà tutti a fare i conti con la crudele realtà. Si può maliziosamente congetturare, quindi, che certi provvedimenti demagogici vengano appositamente adottati con un vizio formale, confidando che saranno poi bocciati nel momento in cui si tratterà di vagliarne la copertura finanziaria.
(...)
In questo modo la manutenzione della clientela è garantita senza dover nemmeno compromettere la gratitudine sospesa che è alla base di ogni mercato elettorale. I precari restano precari, sempre vincolati alla devozione per il loro padrino politico, e proprio per questo fidelizzati in eterno. Altrimenti, col posto fisso assicurato, chi garantisce il loro voto alle elezioni future?
Il Commissario dello Stato non è una carica elettiva. Non deve rispondere a nessun elettorato, ma solo allo Stato e alla propria coscienza. La differenza è tutta qui. Può permettersi il lusso dell’impopolarità. Viceversa sarà facile, per chi deve guadagnarsi la pagnotta del consenso, additare lui come capro espiatorio di ogni promessa irrealizzata perché irrealizzabile.
(...)
Pazienza: è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur svolgerlo. Dopo l’interminabile era dei Gran Simpatici, forse il riscatto di questa regione passa anche dalle obiezioni di qualche solitario Piccolo Antipatico.

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Roberto Alajmo | 07/01/2012

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