UN DESERTO SENZA NEMMENO TARTARI
(Da Repubblica)
Una volta il Goethe Institut organizzò una mostra ai Cantieri Culturali della Zisa. Chiesero un padiglione a quello che allora era il Nuovo Comune di Palermo, e l'amministrazione fu felice di accordarlo. L'esposizione riguardava un artista tedesco. Successe però che in quel padiglione ci pioveva dentro, e le opere vennero danneggiate. L'artista protestò, e il Goethe Institut girò la protesta al Nuovo Comune. Ne scaturì un breve scalpore sulla decadenza di quello che era stato lo spazio culturale più promettente degli ultimi anni. Gli anni di Orlando, per capirci.
Chiamata in causa, la Nuova Responsabile dei Cantieri Culturali protestò la sua innocenza, dichiarando alla stampa che se davvero si trattava di opere di valore, non era certo lì che andavano esposte. Testualmente.
La dichiarazione venne presto archiviata: erano già anni in cui l'amministrazione comunale offriva ogni giorno nuovi fronti al disastro, e molti disastri consecutivi fanno sì che si perdano di vista i singoli disastri. Peccato, perché quelle parole aprivano un varco verso un universo parallelo, in cui la logica convenzionale perdeva aderenza e dopo un paio di passaggi smetteva di funzionare del tutto. In sostanza, veniva certificato che ai Cantieri si potevano, sì, fare delle mostre, ma solo a patto che riguardassero opere prive di valore. Il gorgo dellirrazionale portava diritto alla conclusione che quello spazio era riservato esclusivamente agli artisti privi di talento, le cui opere potevano senza rimpianto essere distrutte dalle avversità naturali. Ma allora perché farne una mostra? E che spazio espostivo è quello in cui ogni artista sa che esporre significa certificare la propria nullità? Oltretutto la certificazione veniva direttamente dalla persona che aveva il compito di dirigere e valorizzare gli stessi Cantieri Culturali. In un paese che contempli l'ipotesi di dimissioni per incompetenza sarebbe bastato molto meno per sentire il dovere di prendere commiato.
Oggi una visita a quelli che furono i Cantieri Culturali della Zisa è fonte di malinconia per chi conservi memoria di quegli anni formidabili e contraddittori (formidabili anche perché contraddittori) nei quali si coltivò la speranza, se non altro, di trasformare un insediamento di archeologia industriale in un giacimento di intelligenze. Quando già tutto stava per venire giù, solo gli istituti di cultura francese e tedesco si lasciarono convincere a trasferirsi ai Cantieri, e ancora se ne pentono. Oggi scrutano lorizzonte dagli spalti di questa specie di Fortezza Bastiani, aspettando invano non l'arrivo dei tartari ma, viceversa, di qualche altra istituzione culturale che possa far vivere l'intera zona.
Non che qualcosa non sia stato fatto, ma sempre con la perversa finalità di non far vivere e non lasciar morire. C'è sempre l'Istituto Gramsci, boccheggiante in assenza quasi totale di finanziamenti. E poi c'è la succursale del centro sperimentale di cinematografia, che svolge attività intermittente ma può vantare una sala cinematografica fra le più grandi ed efficienti di Palermo: beato chi può dire di esserci entrato.
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Sui Cantieri della Zisa si è registrata la saldatura di una triplice congiuntura negativa. Primo: l'incapacità gestionale. Secondo: la mancanza di finanziamenti. Terzo: la feroce iconoclastia che ha sabotato ogni luogo che aveva rappresentato l'orgoglio della precedente amministrazione progressista.
Ce n'è quanto basta per indignarsi. Ma questo è il problema di Palermo: sarebbero talmente tanti i motivi per sguainare la spada dellindignazione, che alla fine non si riesce a sguainarla mai.

Roberto Alajmo | 31/01/2011
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