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IL MUSEO DELL'INDINDIRINDA'

(Da Repubblica)
Il museo dell’Identità Siciliana era qualcosa di cui davvero si sentiva il bisogno. La notizia della sua istituzione va accolta con gioia, senza le solite barricate di sarcasmo che in Sicilia accolgono sempre le Grandi Idee.
Sbagliato pensare che si tratti del solito progetto a lunga scadenza che nasconde l'inerzia del breve periodo. No, no, no. Il presupposto dell’apertura di un nuovo museo deve per forza significare che tutti gli altri sono sul punto di funzionare a pieno regime. Chi potrebbe pensare di aprire un nuovo fronte senza aver prima chiuso almeno qualcuno degli altri, finora numerosi e fallimentari? C'è da aspettarsi che il Salinas riapra in tempi ragionevoli. Che il centralino dell’Abatellis presto smetterà di rispondere “dipende...” a chi chiama per chiedere se il museo rimane aperto nei pomeriggi.
(...)
Dunque è con trepidazione che dobbiamo accogliere questa nuova epoca di rinascimento nella conservazione dei beni culturali, anche di quelli più i mpalpabili. Un museo dedicato all’Identità Siciliana può rappresentare un valore aggiunto, ma a un patto: che si prenda sul serio la sua missione.
Sbagliato sarebbe immaginare una semplice collezione di carretti siciliani, coppole, scacciapensieri, valigie di cartone e cannoli di cartapesta. Un museo che rispecchi davvero l’identità siciliana, tanto per cominciare, non può essere una struttura singola. Bisogna immaginarne almeno uno in ogni provincia, se non proprio in ogni centro abitato. E questo non tanto per rispecchiare la complessità del continente Sicilia, ma perché caratteristica primaria dell’animo siciliano consiste nel rivendicare con determinazione ciascuno il proprio “particulare”. Ogni campanile può vantare pretese di unicità, anche a scapito del pubblico interesse. Dunque è antropologicamente giusto che ogni comune/collegio elettorale rivendichi una propria succursale dell’ambìta istituzione, se non addirittura la sede principale. Nove poli museali, uno per ciascuna provincia, e tutti con il fregio di potersi definire “regionale”: è il minimo. Una specie di museo esploso nel territorio che soddisfi l’orgoglio di tutti e ciascuno.
Naturalmente fra i materiali da conservare ed esporre al vanto, magari mediante l'uso dell'annunciata multimedialità, non potranno mancare anche certe espressioni lessicali che sono fondamentali per capire la Sicilia. Nulla più della lingua è espressione di un popolo. Già all’ingresso ci vorrebbe un’epigrafe significativa, qualcosa che metta subito in conciliazione il visitatore con l’anima più profonda della nostra Isola. Qualcosa come “I panni sporchi si lavano in casa”, frase che più di ogni altra, secondo Leonardo Sciascia, connotava chi i panni non è abituato a lavarli mai, né in casa né fuori.
Bisognerà trovare poi una cornice multimediale per un’altra espressione che è stata da sempre sintomo di Sicilia: “Qui si infanga il buon nome dell’Isola!”, con la maiuscola e il punto esclamativo, proprio. Una frase che col tempo i siciliani perbene hanno imparato a riconoscere come denominazione d'origine controllata di ogni sentimento mafioso.
Ma la straordinaria novità di un museo interamente dedicato all’identità di un popolo non può prescindere da una sezione dedicata ai personaggi illustri. Bisognerebbe approntare una sala destinandola a museo delle cere, mettendoci le figure eminenti che hanno trovato i natali su quest’isola bella e sfortunata, da Ducezio a Francesco Crispi, da Giuseppe Balsamo a Giovanni Sucato. Ma soprattutto non dovrà mancare la statuina più significativa, quella che renderebbe il museo dell'Identità Siciliana un unicum in tutto il mondo: la statua dell’Assessore e/o Presidente della Regione nell'atto di proporre l’istituzione di un museo dell’Identità Siciliana. Una vertigine concentrica: ciò che meglio di ogni altro esempio può rappresentare la nostra davvero unica capacità di rivendicare ogni genere di superfluo, rinunciando solo a ciò che invece risulterebbe fondamentale.

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Roberto Alajmo | 24/12/2010

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