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PROVE TECNICHE DI APOCALISSE

(Da Animals, rubrica "2012")
A voler tendere le orecchie e aguzzare lo sguardo, i sintomi della fine del mondo in dirittura d’arrivo si possono distinguere con sempre maggiore chiarezza. Certe volte sono piccoli segnali. Alcuni scienziati, per esempio, considerano il piazzamento del trio Principe-Pupo-Tenore allo scorso festival di Sanremo come una prova incontrovertibile della catastrofe incombente. E se avessero vinto, il calendario dei Maya avrebbe senz’altro subito una brusca accelerazione, saltando di netto un paio d’anni.
Ma agli occhi dei catastrofisti i segnali si moltiplicano, man mano che si avvicina la data prevista. La natura borbotta, mugugna, sempre più spesso si incazza direttamente. Come in teatro, il diario delle prove si va infittendo, e sono prove sempre più “filate”.
L’ultima è stata l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökul, il cui nome si deve a un geografo locale che aveva poggiato per errore il gomito sulla tastiera del Pc. L’eruzione è stata la prova primaverile, dopo che quella invernale, il terremoto di Haiti, per quanto devastante, era rapidamente scomparsa dalle pagine dei giornali.
In occasione di questa versione vulcanica dell’Apocalisse, il cielo si è oscurato su gran parte dell’Occidente civilizzato, causando un tracollo della mobilità aerea e la perdita di miliardi di euro, oltre che la disdetta di migliaia e migliaia di appuntamenti d’affari, d’amore e di famiglia in tutto il mondo.
A parte le questioni economiche e quelle geologiche, l’occasione dello scorso aprile è stata utile per osservare le reazioni dell’umanità da un punto di vista antropologico. La domanda è: come si comporterà il genere umano di fronte alla fine del mondo? Sotto questo aspetto la prova è andata abbastanza bene. Niente scene di panico, niente fughe di massa come quelle che si vedono nei film catastrofisti. Piuttosto, come nei film di genere, il dramma collettivo si scompone in una miriade di microdrammi personali, che coinvolgono i singoli individui e la loro immediata cerchia familiare. Qualche pianto al telefono, qualche abbraccio rimandato o annullato. Ma il carattere di prova ha fatto sì che non ci fossero vittime civili. In fondo è stato come quando suona la sirena e però una voce avverte che si tratta di una prova generale. La popolazione è invitata a mantenere la calma, e l’esercitazione avviene nella generale compostezza.
Dopo l’incazzata contrarietà iniziale, persino il popolo dei manager è sembrato rassegnarsi alla forza della natura. C’è niente da fare? No. E allora, mettiamoci comodi e aspettiamo che passi. Per molti forse è stato un bagno di umiltà: scoprire che nessuno è indispensabile, in nessuna circostanza. Ogni potente del mondo è stato costretto a rinunciare al proprio viaggio, e soprattutto ha scoperto che la vita del pianeta è andata avanti lo stesso. È quel che succede quando ciascuno di noi muore: un po’ di subbuglio, e poi persino i nostri cari tornano ad assestarsi sui binari della quotidianità.
Questo è stato l’eruzione dell’ Eyjafjallajökul: una piccolissima metafora di morte collettiva che ha lasciato le cose come stavano. Forse così andrà anche il 21 dicembre del 2012: ci metteremo tutti disciplinatamente in coda all’apposito banco transiti in attesa di trovare la miglior soluzione per sgomberare il nostro caro pianeta Terra.

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Roberto Alajmo | 26/06/2010

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