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DALLA PARTE DEGLI INFEDELI

Siccome per diventare scrittori bisogna prima aver fatto una serie di mestieri tipo lavapiatti o passeggiatore di cani altrui, a un certo punto mi parve una buona idea fare la comparsa al teatro dell'opera. Un lavoro ideale, umile al punto giusto e, allo stesso tempo, svolto a stretto contatto con la Vera Arte. È per questo motivo che oggi posso dire: io c'ero. L'ultima volta del Ratto dal Serraglio a Palermo io c'ero. Ed ero dalla parte degli artisti. Il direttore era Alexander Rahbari, il regista un francese, Lavaudant, e l'allestimento veniva da Aix-en-Provence, una delle capitali mozartiane d'Europa. Proprio la provenienza ne aveva fatto un evento molto atteso, destinato ad aprire la stagione di opere e balletti dell'anno 1984. La selezione delle comparse avveniva sulla base di regole democratiche. Il giorno della selezione i candidati venivano fatti mettere in fila e il regista faceva le sue scelte. Il tutto avveniva sotto la rigida vigilanza di due capi-comparsa: un capo vero e proprio, che si chiamava Tanino, e un vice capo comparsa, che si chiamava Gianni. C'erano poi altre figure intermedie, vice-vice capicomparsa, che non erano stipendiati dal teatro ma possedevano anche loro un'autorevolezza. Sui soprannomi di tutti ed ognuno, meglio sorvolare. Venni scelto in virtù del fatto che in quel periodo rientravo nelle grazie di Gianni, specialmente. Una cosa strana era questa: il regista, anche quando veniva direttamente dalla Francia, finiva per scegliere sempre gli amici dei capicomparsa. Meglio così: essendo disoccupato, di quel posto avevo bisogno. Che Gianni sia lodato. Erano le mie prime comparsate, e come valore aggiunto alla semplice prestazione sindacale, mi facevo un punto d'onore di documentarmi sull'opera in questione. Al Ratto dal Serraglio tenevo in particolar modo in quanto neofita mozartiano. Mi procurai pertanto un libretto, anche se non in lingua originale ("Nuova versione ritmica italiana di Rinaldo Küfferle") e lo tenni bene aperto durante un paio di ascolti integrali dell'opera, fatti allo scopo di immedesimarmi nel ruolo, secondo i precetti dell'Actor's Studio. Le comparse all'opera si dividono in: soldati e popolani. Nella maggior parte dei casi si tratta di portare in scena qualche Manrico in catene o esultare assieme al coro per il ritorno in patria di un Simon Boccanegra. Eccezionalmente, solo in occasione di quel Ratto dal Serraglio, venni scelto per impersonare un ruolo eccentrico e dunque aristocratico: lo schiavo. A tutt'oggi quel ruolo rappresenta l'apice della mia carriera di comparsa. Si trattava di reggere il parasole sulla testa di Konstanze durante il recitativo e aria del secondo atto, quella che secondo Rinaldo Küfferle doveva cominciare così: Come tutto in me s'è ormai cambiato Da quel dì che noi divise il fato… E prosegue con altri passaggi tipo: …Come al gelo novembrino Appassisce un fiorellino… Subito dopo seguiva la celebre Martern aller arten, che in italiano diventava: Tutte le torture Mi si apprestin pure… Nel caso, le perle della nuova versione ritmica italiana sarebbero state sacrificate sull'altare della versione in lingua originale. Non di Ratto si trattava, ma di Entfürhung. E tuttavia capii subito di aver fatto bene a studiare la parte, perché il regista fece una scelta che mi responsabilizzava parecchio. Durante l'aria, Blonde doveva uscire di scena per dare maggiore risalto all'amarezza di Costanza. Questo significava che in scena restavamo solo io e la protagonista, che nel caso era Mariella Devia. Scelsi un'interpretazione straniata, secondo i dettami della scuola di Michele Perriera. Nulla doveva trasparire dal mio volto. Non un moto dell'animo, non un sentimento. Solo quel gesto: un braccio teso a reggere l'ombrellino parasole sulla testa di Konstanze. I veri intenditori sanno che è dall'assenza di effettacci che si riconosce il grande interprete. E nella mia essenzialità, devo dirlo, fui perfetto. Seguii Konstanze ovunque andasse nelle sue deambulazioni sul palcoscenico senza mai lasciar trasparire alcunché. La Devia mi sorrideva sempre, prima di entrare in scena. E io ricambiavo sempre con un sorrisino discreto, denso di consapevolezza mozartiana. Il grosso del lavoro, certo, doveva farlo lei. Ma agli intenditori non sarebbe sfuggita la presenza inquietante di quello schiavo con parasole che la seguiva ovunque, quasi una citazione del paggio che accompagnava il protagonista nel Don Giovanni di Losey. Meraviglia che ancora oggi nessuno studioso, nessun musicologo si sia soffermato su questa figura enigmatica che compare accanto alla protagonista proprio nella scena più celebre. La Devia non l'ha mai saputo, ma dell'ovazione che a ogni replica accoglieva l'ultima nota della sua aria, in cuor mio io ne incassavo un buon dieci per cento. La mia percentuale minima di comprimario. Il Ratto dal Serraglio a Palermo non veniva rappresentato da molti anni, e quell'allestimento non dev'essere apparso, tutto sommato, un'esperienza così emozionante. Anche se artisticamente coinvolto in prima persona, non posso nascondermi che si trattava di una di quelle interpretazioni di Mozart talmente raffinate e rarefatte da risultare, a consuntivo, totalmente esangui. E tuttavia io non posso lamentarmi; in quell'occasione riuscii a spuntare il premio più ambito, per una comparsa: una integrazione del compenso che si chiamava figurazione. Fu quello che si definisce un successo di nicchia. E poi si sa, le opere della nostra gioventù sono sempre più belle.

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Roberto Alajmo | 25/04/2007

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