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Cuore di madre


ECCO PERCHÉ BARCELLONA NON VIENE MAI BENE NELLE FOTO

Esistono città nelle quali si arriva sapendo già tutto. Ci vai da turista per avere la conferma delle cose che hai già letto o sentito dire. Vai, controlli, torni, e confermi ad amici e conoscenti: sì, Venezia è una città unica al mondo. Sì, Roma è la città eterna. Sì, Parigi è sempre Parigi. Più o meno consapevolmente si va in questi posti per confermare la propria identità di cittadini del mondo, e tornando a casa si è fatta una scorta di luoghi comuni sufficiente a tirare a campare per un pezzo. Almeno fino al prossimo viaggio. All'elenco delle città-luogo comune si è iscritta di prepotenza, da almeno una quindicina d'anni a questa parte, anche Barcellona. Anche qui si va credendo di sapere già tutto, sebbene questo succeda per motivi del tutto originali. Durante la proiezione delle diapositive del viaggio di fronte agli amici - vieni, vieni che proiettiamo le diapositive - si possono vantaggiosamente pronunciare anche solo semplici sospiri: Ah, Barcelona. Con una sola elle, però. Già il sospiro - e la sola elle - potrebbero bastare a rendere l'idea di un innamoramento incondizionato, e tuttavia bisognerebbe riuscire a formulare uno slogan che valga erga omnes e possa fungere da perfetto luogo comune cittadino. Qualcosa di paragonabile a Parigi è sempre Parigi, che tuttavia non può essere Barcellona è sempre Barcellona, se non altro perché non è vero, Barcellona non è mai uguale a se stessa. Barcellona cambia in continuazione. Ci vai oggi, ci sei andato cinque anni fa, ci torni fra due anni, e sarà sempre una città diversa. Barcellona fa parte del novero delle città che si muovono. Ci sono città che non riescono a stare ferme manco un minuto. Si trasformano in continuazione. Trasformano la propria struttura urbanistica e trasformano persino il proprio carattere riuscendo sempre a mantenere ferma l'identità. Non per tutte le città è così. Alcune città per riuscire a mantenere la propria carica identitaria hanno bisogno di restare assolutamente immobili. Venezia è ferma. L'Avana si muove. Vienna è ferma. Berlino si muove. Barcellona pure. Barcellona si muove moltissimo. Si muove talmente che c'è da sorprendersi che le fotografie non vengano tutte mosse. Negli ultimi mesi la sua skyline, vista dalle colline del Tibidabo e di Montjuic si è arricchita di un nuovo elemento architettonico. E' un grattacielo che la tradizione popolare ha battezzato con un paio di nomignoli di cui il più gentile è supositori l'equivalente catalano di suppostone. L'ente municipale dell'acqua lo ha fatto costruire dall'architetto Jean Nouvel e somiglia - oltre che, effettivamente, a un'enorme supposta - anche a un'improvvisa erezione del paesaggio. Difatti l'altro nomignolo è Pito. Come se l'orizzonte si fosse eccitato per qualcosa. In effetti Barcellona è una città molto sensuale. Sensuale e controllata. Capace di tenere la sua sensualità sotto controllo e metabolizzare ogni elemento di perturbazione: il suppostone già non è più un corpo estraneo, rispetto al resto del panorama. Tanto che all'inizio pensi di essere tu ad averlo dimenticato dall'ultima volta che eri stato qui, ma il supositori, lui, già era lì da chissà quanto tempo, naturale compagno della Sagrada Familla e di tutto l'arsenale delle apparizioni moderniste di Gaudì. Poi domandi in giro e scopri che invece tu ricordavi bene: non c'era, è tutto nuovo. Naturalmente ci sono interventi più o meno riusciti. La Rambla del Mar, per esempio, il faraonico pontile di legno concepito come una ideale prosecuzione in mare della famosa Rambla, tende a somigliare a un centro commerciale, fitto com'è di locali e localini, boutique, il centro Maremàgnum, la multisala Maremàgnum, le discoteche, l'acquario, il World Trade Center, eccetera, eccetera. Ma per un intervento andato male (anche perché poi, de gustibus: barcellonesi e turisti ci vanno e si divertono, comunque) ce ne sono altri dieci che fanno fare alla città un figurone. L'onda lunga delle Olimpiadi del '92 non si è ancora esaurita. Una decina d'anni prima hanno cominciato a cambiare e non hanno più smesso. A Barcellona ancora oggi la Generalitat ogni tanto decide di buttare giù una decina di case del centro e aprire in pieno Barrio Chino una nuova strada. C'è qualche protesta, qualcuno dice che così viene stravolta l'anima del quartiere. Ma poi la nuova Rambla del Raval si è fatta veramente, gli abitanti del quartiere ci vanno a prendere il sole, e la nuova strada è entrata a far parte all'istante del paesaggio cittadino. Il Barrio Chino, che già da tempo non era più il quartiere malfamato di Pepe Carvalho, adesso risulta un po' meno romanticamente sgarrupato, e pazienza per chi non era d'accordo, visto soprattutto che i diretti interessati possono affermare di aver migliorato la qualità della loro vita.Il fatto è che a Barcellona, rispetto a quanto succede nelle città italiane, c'è ancora il coraggio di intervenire con gusto e determinazione sul tessuto urbanistico esistente. Questa è una città in cui per le famiglie borghesi è un orgoglio - e non una iattura, come da noi - avere un figlio architetto, quasi come in Italia è avere un figlio notaio. Questa è una città che è stata cambiata da architetti di mezzo mondo, senza preclusioni, con l'unica garanzia di chiedere rispetto in cambio di rispetto. In Italia, al contrario, non ci sono mezze misure: o vincoli asfissianti o abusivismo edilizio. Certe volte allo stesso tempo sia vincoli asfissianti sia abusivismo edilizio. Il centro storico non si tocca per nessun motivo, a meno che non lo si faccia con interventi pirateschi e approssimativi. Nel caso, poi, provvederà una sanatoria edilizia a porre rimedio. Se si tratta di costruire un grattacielo non sarà mai Jean Nouvel a stilare il progetto, ma piuttosto il cugino geometra dell'assessore, giusto per fare largo ai talenti locali. Di modo che quando fra cinquecento anni gli storici dell'arte si interrogheranno sullo stile che la patria di Leonbattista Alberti e Brunelleschi ha regalato al mondo fra novecento e duemila, le opinioni saranno concordi: ciò che rimarrà è l'abusivismo edilizio. A Barcellona no. A Barcellona - ma anche a Parigi e a Berlino, per esempio - c'è ancora la consapevole spavalderia di lasciare un segno sul territorio. Certo: un segno qualificato. Ma comunque un segno. Tutte le generazioni dell'umanità lo hanno fatto, perché noi dobbiamo rinunciare o, peggio, delegare all'abusivismo il nostro ruolo di abitanti delle città?A Barcellona se ne fregano di sbagliare, e fanno. Tanto che adesso la città è pronta a entrare direttamente nel luogo comune proprio per la sua capacità di sottrarsi al luogo comune. Un luogo comune per esempio, era Manuel Vázquez Montalbán, che a ottobre è andato a morirsene a Bangkok, nientemeno. E ha lasciato i lettori di tutto il mondo con l'idea della città orbata del suo massimo cantore. Certo, Barcellona senza Montalbán sembra più malinconica. Collettivamente malinconica: lo celebrano il rettore dell'università fianco a fianco con Rosa Gil, la proprietaria del suo ristorante preferito, Casa Leopoldo, che si trova a un passo proprio dalla nuova Rambla del Raval.A proposito di Montalbán e Pepe Carvalho, a proposito di gastronomia: una delle pasticcerie più rinomate di Barcellona si trova in Rambla Catalunya, si chiama Mauri. Ed è una pasticceria di tradizione viennese, così come, del resto, tutta la cucina catalana è esposta alle influenze eccentriche. Succede nelle città aperte al mare, pronte ad accogliere le idee che vengono da fuori e a farle proprie.Ora l'ultimo pretesto per cambiare i connotati a un quartiere è il Forum della Cultura che si terrà fra maggio e settembre. Titolo: un encuentro que moverá al mundo. Che vuol dire tutto e niente; si tratta di mettere assieme le diversità del mondo e farle dialogare fra loro. Un intento davvero commovente, di sicuro benemerito se anche solo servisse a bonificare la zona industriale di Poblenou, fra la fine della avinguda Diagonal e il mare, a ridosso del río Besós. In questi mesi si sta lavorando a tappe forzate e c'è da scommettere che ce la faranno. Realizzato questo, una delle prossime tappe sarà probabilmente il famigerato quartiere chiamato Mina, nella periferia più dura, una delle poche zone dove gli stessi barcellonesi si avventurano di rado. Ne parlano con timorosa vaghezza: lì - spiegano - abitano gli zingari, o gli slavi, o tutti e due; insomma, meglio girare alla larga. E' il cuore nero della città. A pensarci bene, l'esistenza della Mina è persino consolante. Sta a significare che a Barcellona non si corre nemmeno il rischio di stuccarsi per eccesso di idealità. Ci sono sempre nuovi margini di miglioramento. Non è una città perfetta, ma perfettibile sì. E la perfezione forse in questo consiste: nell'approssimazione costante alla perfezione.

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Roberto Alajmo | 23/04/2006

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