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DAL 'RIFORMISTA'

Ho letto sul Corriere della Sera le diverse puntate della reiterata polemica fra Giovanni Minoli e Aldo Grasso a proposito di “Agrodolce”. Le ho lette con la costernazione con cui un bambino può assistere alle liti fra i genitori, senza capire nemmeno bene perché litigano. Io voglio bene a tutti e due i miei genitori, mi pare che abbiano ragione entrambi e non vorrei che litigassero mai. Se è per questo, però, non vorrei nemmeno che qualcuno mi chiedesse a chi voglio più bene, se a papà o a mamma. Ma siccome qualcuno che te lo chiede si trova sempre, dichiaro senz’altro che voglio più bene a papà Minoli, se non altro perché mi ha chiamato a partecipare all’avventura di questa fiction quotidiana che andrà in onda a partire dall’8 settembre. In “Agrodolce” io - da interno Rai, e quindi senza alcun sovraccarico per l’erario - faccio la revisione dei dialoghi. Lo dico perché si sappia da subito che io parlo in un certo senso pro domo mea. E però lo devo dire: sentire litigare due piemontesi su un argomento che riguarda la Sicilia mi ha messo a disagio, come se fossi davvero un bambino che non si sa difendere da solo. Conviene però fare un breve riassunto della questione. Non si discute (ancora) della qualità del prodotto televisivo, ma semmai della liceità e dell’opportunità dell’operazione. Grasso sostiene che non si dovrebbero utilizzare dei fondi pubblici per fare fiction. Grasso lascia trasparire la parolina-fine-di-mondo: “assistenzialismo”, che serve, coi tempi che corrono, a troncare ogni discussione. Da siciliano mi permetto di far notare che vista da vicino, la Sicilia è un po’ meno losca di come viene dipinta quando la si guarda col cannocchiale. Rispetto alla tesi di Aldo Grasso, Minoli sostiene invece che essere riusciti a convogliare fondi di provenienza europea destinati all’industria su un progetto televisivo è una piccola rivoluzione, visto che in passato soldi del genere si sono andati a perdere chissà dove, e nelle tasche di chi. A scanso di equivoci, devo aggiungere un’altra notazione di carattere personale: io sono fra quelli che ritengono che se un giorno in Sicilia smettessero di arrivare improvvisamente i finanziamenti pubblici nazionali ed europei, noi siciliani staremmo molto male nel breve periodo, molto meglio nel medio, e benissimo nel lungo periodo. Detto questo, però, io giudico “Agrodolce” sul piano dell’investimento, e avendolo vissuto dal di dentro, posso assicurare che è un investimento sacrosanto: sono per il momento, prima ancora di andare in onda, 270 posti di lavoro. E questo in un comprensorio come quello di Termini Imerese, dove la crisi dell’indotto dello stabilimento Fiat aveva portato alla canna del gas moltissime famiglie. Ed è lavoro qualificato, in buona parte intellettuale, cioè quello che maggiormente manca in Sicilia. Dal mio punto di vista, la speranza è di recuperare almeno in parte la diaspora dei talenti della scrittura e del cinema che per emergere sono dovuti emigrare. Oltretutto si tratta di un investimento che non si ferma alla contingenza di “Agrodolce” (che dio lo preservi più a lungo possibile): gli studi realizzati sulle colline di Termini sono potenzialmente il volano di una industria cinematografica che ha di sicuro maggiori chance in uno scenario naturale come la Sicilia, e potendo contare sulle professionalità che stanno crescendo nella zona. Fin da ora si può dire che si tratta di un investimento con minore impatto ambientale e decisamente più possibilità di riuscita rispetto al sogno di una industrializzazione-industriale. Termini Imerese stessa, Gela, Augusta: sono le tappe di questa via crucis dalla quale l’economia siciliana è uscita più morta che viva, e con lei anche il paesaggio naturale e culturale, persino antropologico dell’Isola. Dal punto di vista della Regione Siciliana, che ci investe la metà dei soldi, c’è poi da mettere in conto un ulteriore ritorno di immagine: come già è successo per il “Montalbano” televisivo, le ambientazioni in esterno (che sono preponderanti, rispetto ad altre fiction similari) costituiranno una promozione d’immagine formidabile, con prevedibile ritorno economico per il turismo, altro settore industriale sottosviluppato, in Sicilia, rispetto alle potenzialità. Detto questo, io ho un altro timore, a questo punto: che tutte queste polemiche preventive possano fare da schermo per un giudizio obiettivo su questa sorta di romanzo popolare che sarà “Agrodolce”. Se di investimento industriale si tratta, è il prodotto quello che conta. Speriamo. Vedremo. (Gianni Allegra: "Verba volant", acrilico)

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Roberto Alajmo | 07/08/2008

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