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PAGODE FOREVER

DA PALERMO E' UNA CIPOLLA
Quando fra cinquecento anni i nostri pronipoti si chiederanno quale voga architettonica fosse tipica nella Palermo della prima metà del ventunesimo secolo, gli storici dell’arte non avranno dubbi e risponderanno: il pagodismo.
Il pagodismo fiorisce a Palermo già negli ultimi anni del novecento, quando ogni spazio libero della città, ogni piazza e ogni parcheggio comincia a essere occupato da centinaia di costruzioni prefabbricate bianche in plastica e alluminio destinate in origine a ospitare fiere o esposizioni temporanee.
Si tratta di strutture facili da montare e - si dice - anche da smontare. Di quest’ultima facilità però non si è finora avuta riprova, in quanto all’installazione provvisoria delle pagode, mai più è seguito uno smantellamento: dopo qualche mese, per una forma di usucapione del suolo pubblico, il villaggio di pagode diventa stanziale e non è escluso che in futuro possa diventare agglomerato di edilizia abitativa popolare.
In effetti, la nostra generazione sarebbe la prima, nella storia dell’umanità, ad avere il pudore di lasciare traccia sul territorio della propria arte contemporanea. Fortunatamente, assieme a Pizzo Sella e alla zona di Viale Strasburgo, ci saranno queste pagode a fare da testimone della nostra civiltà presso le generazioni future: quello che i nuraghe sono per la Sardegna, che i trulli sono per la Puglia, che i dammusi sono per Pantelleria, le Pagode saranno per la Palermo del Duemila.
(Nella foto, l'isola pedonale di piazza San Domenico, oggi. Bello vedere che dopo dieci anni Palermo è una cipolla è ancora un libro di attualità)

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Roberto Alajmo | 16/04/2015

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