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REMIX: LA VIA ITALIANA AL DARWINISMO

Il dibattito che ferve soprattutto negli Stati Uniti fra darwinisti e creazionisti si è trasformato negli ultimi anni in una polemica fra sordi. E in America non è ancora arrivata la variabile italiana: il Darwinismo Invertito.
Si definisce Darwinismo Invertito il fenomeno per cui la selezione della specie avviene, ma su basi diverse da quelle che immaginava Darwin. In questo scenario a prevalere non sono gli individui più intelligenti, “migliori”. Ma, viceversa, quelli meno dotati.
Nel nostro paese il Darwinismo Invertito ha assunto un’evidenza che la comunità scientifica internazionale farebbe bene a non ignorare. Per esempio, nella selezione del personale politico in liste elettorali bloccate, dove vengono premiate fedeltà asinina e mediocrità del candidato. Il livello degli eletti non fa altro che rispecchiare questa scrematura avvenuta a monte.
Allo stesso modo, ogni tornata di nomine alla Rai e in qualsiasi ente pubblico è lo specchio fedele di questo fenomeno. Quando, negli anni Ottanta, Fruttero e Lucentini parlavano di prevalenza del cretino non facevano altro che segnalare gli esordi del Darwinismo Invertito.
Se il fenomeno non è ancora stato studiato come meriterebbe c’è una ragione: il conflitto di interessi. Chi dovrebbe fare ricerca su questo argomento? L’Università. Ma il sistema universitario è quello che più di ogni altro è stato fertilizzato dal Darwinismo Invertito. Ogni Barone, nel tempo, si è premurato di selezionare i propri assistenti col criterio del tanto peggio tanto meglio: preferisco che sia stupido, così non rischia di farmi ombra.
Forse siamo pure arrivati al punto critico del Darwinismo Invertito: i Baroni, sempre ammesso che fossero dei luminari, stanno poco alla volta andando in pensione, e restano i loro protetti. Concordando una minima dose di aleatorietà, forse è arrivato il momento di rivalutare il creazionismo.

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Roberto Alajmo | 20/08/2014

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