GIORNO-DI-FESTA-A-MALTA

Dal diario di bordo di Adriatica. Malta. 8 settembre. Sera. Siamo capitati nel giorno di festa, al quartiere di Senglea. Balconi impavesati di giallo e rosso, botti sparati in aria fin dal pomeriggio. L’otto settembre qui è una triplice festa. Si celebra la natività di Maria, si ricorda la fine della seconda guerra mondiale e ancor prima la fine dell’assedio turco, nel cinquecento. Secondo e terzo evento vengono naturalmente ascritti alla benevolenza della Madonna bambina. Girare stasera per le strade di Malta, per un siciliano è leggermente spiazzante. Riconosco il calore delle feste popolari, ma è come se qualche dettaglio restasse fuori posto. Gli abitanti indossano i vestiti della festa, i giovani si sono messi in tiro: questa è serata di seduzione. Esattamente come succederebbe in occasione della festa di qualche santo patrono, nel sud d’Italia. E allo stesso tempo è come se, ai miei occhi, nella ricostruzione di una festa popolare, il regista abbia tralasciato un dettaglio fondamentale. A ritrovarsi qui senza la memoria del viaggio compiuto, sarebbe difficile stabilire se ci troviamo nel mondo arabo, o in un paese balcanico, o in una delle colonie storiche albanesi di Sicilia o di Calabria. Se però si accosta l’orecchio fino a intercettare qualche conversazione, lo spiazzamento trova la sua consistenza, perché i maltesi parlano una lingua a sé stante. Mixiata, come dice un signore appositamente interpellato. Ci sono elementi che evocano il dialetto siciliano, ma l’impasto linguistico è prevalentemente arabo. Inoltre, tanto per rendere più inestricabile la complessità identitaria maltese, i cartelli stradali sono in inglese, il volante delle automobili si trova sulla destra e persino le cabine telefoniche sono rosse, come ormai neanche a Londra. La cucina stessa è una mescolanza di specialità che spaziano dalla pasta al porridge. E i ristoranti si pregiano di offrire del burro da spalmare sul pane, un vezzo che a questa latitudine suona abbastanza bizzarro. A dirla tutta, questo spiazzamento è pure un po’ inquietante, almeno per me. Mi sento a casa, ma è come se i miei parenti avessero cominciato da un giorno all’altro a parlare una lingua che non conosco. Dev’essere così la mattina in cui ti svegli e scopri di avere avuto un ictus. (Si ringrazia la rivista Giudizio Universale)



Roberto Alajmo | 07/10/2008 | Letto [2580] volte

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