"Ci conosciamo abbastanza: diamoci del lei"
(Leonardo Sciascia)
Nel mare proprio di fronte Palermo cè Ustica. Lisola di Ustica non si vede quasi mai. Non proprio mai: ma quasi. Non ci vado da molti anni, non la vedo, ma so che cè. So talmente bene che cè che ormai non mi sforzo neppure di scrutare per vedere se cè. So talmente bene che cè che ormai non mi viene neppure voglia di andarci. Ho troppe cose da fare. Per certi periodi me la dimentico, addirittura. La deriva dei continenti lha portata lontano dalla terraferma (che poi non è terra ferma per niente) e la tiene lì, a distanza. A fare la differenza fra il vedere e il non vedere è la qualità dellaria. Certi giorni nemmeno ci penso, guardo lorizzonte e improvvisamente mi accorgo che si vede Ustica. Sono giorni rari, giorni speciali, giorni preziosi. Nellimmediato, il fatto mi mette di buonumore, penso che sarebbe tempo di progettare una gita anche solo di un giorno per andare a scoprire come è cambiata nel frattempo. Ma è solo listinto primario. Dopo un po che la guardo subentra una malinconia che non so se sono in grado di spiegare. E come se la distanza che mi separa da Ustica dovessi coprirla a nuoto. E anche se quel giorno magari la vedo (mi pare addirittura di distinguere losservatorio che si trova in cima alla montagna dellisola), Ustica è troppo lontana per andarci a nuoto. Allora mi piglia un senso di frustrazione: come se io Ustica non dovessi vederla mai più. Come se ci trovassimo su due placche terrestri diverse, il cui movimento è divergente. Lo so che non è così. Che Ustica cè sempre e basterebbe un traghetto o un aliscafo per riuscire a raggiungerla. Ma allo stesso tempo è difficile scacciare la malinconia che dopo un po mi prende nei giorni di aria limpida, quando Ustica risulta visibile. Mi viene da pensare che è meglio quando non si vede: almeno non ci penso, e se non ci penso non soffro. Perdere la memoria è un dono, in certi casi. (L'illustrazione è di Loredana Salzano)
