"Non tutti lo sono, non tutti ci sono"
(Anonimo, allingresso del manicomio di Agrigento)
Fate caso ai titoli dei giornali, per esempio.
Sono tutto un fiorire di Faremo, Stanzieremo, Invieremo, Vaccineremo. Le nuove fiale stanno per arrivare, i fondi previsti sono sul punto di essere erogati. La prossima estate partiremo, a viaggiare torneremo.
Si formulano a getto continuo idee, progetti, disegni.
Sembra che l'eclissi del futuro collettivo prodotto dal Covid abbia paradossalmente sdoganato il tempo verbale futuro, che non ha mai goduto di tanta popolarità.
Il concetto stesso di notizia è stato stravolto. Ne è stato spostato il baricentro sostanziale. Non si considera più tale la cosa avvenuta o realizzata, ma anche solo la cosa annunziata. Soprattutto, la cosa annunziata.
Per di più gli stessi annunci hanno una biovita accorciata, si riferiscono a qualcosa di sempre più imminente. Tre milioni di dosi arriveranno la prossima settimana, anzi domani, anzi stasera stessa.
La casta degli annunziatori confida da un lato sulla scarsa memoria dell'opinione pubblica e dall'altro sull'effetto sovrapposizione: ogni nuovo annuncio possiede un potenziale di aspettativa tale da far dimenticare il precedente e oscurare la desolante assenza di risultati concreti.
Viviamo in una perenne vigilia, come in quelle opere liriche in cui l'esercito armato di tutto punto canta "Partiam Partiamo" per mezz'ora - e invece non parte mai.