QUART'I-CHILO

Quart’i chilo era un bambino che dimostrava meno dei suoi anni. Magro, come l’appellativo con cui era chiamato può ben fare intendere, camminava con dei pantaloncini corti ricavati dai calzoni di un adulto, tenuti su da una cinta di cuoio la cui estremità penzolava nel vuoto. I calzini, anch’essi corti, di un colore neutro, a volte grigi altre volte beige, uscivano fuori da scarpe sudice, graffiate al punto da non far capire se il loro colore d’origine fosse stato il nero od il marrone. Quart’i chilo faceva un odore di farina misto a sudore che emanava dalle magliette a righe, piene di strappi, che di volta in volta coprivano il suo esile corpo. La banda cui appartenevo aveva avuto nell’uso della fionda un’evoluzione naturale, ed era passata dalle lucertole ai gatti e dai gatti ai ragazzini, con particolare riguardo a quella categoria di piccoli disgraziati che consegnava la spesa al domicilio della borghesia palermitana. A volte, dopo una breve rincorsa, i malcapitati bambini venivano legati con della corda al cancelletto che delimitava il giardino del piano terra, su cui si affacciavano le finestre dell’appartamento della professoressa De Luca. In quelle occasioni tiravamo i calci di rigore. Naturalmente la porta non esisteva ed il portiere, com’è facile intuire, era il ragazzino legato all’inferriata. Quart’i chilo era uno di loro. A modo nostro gli volevamo bene. Se veniva raggiunto dal pallone e si faceva male si metteva a piangere, ed era normale per noi fare a gara per offrirgli qualcosa, le poche cose che avevamo, figurine o biglie, ed esser gentili con lui. Era il 1968. Luigi (Luigi Riotta: Kazuki)



Roberto Alajmo | 05/06/2008 | Letto [1653] volte

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