A-ME-M'HA-ROVINATO-L'ANAGRAFE

Di Francesco Maria De Vito Piscicelli s’è detto tutto quello che c’era da dire. Prima le risate alla faccia dei terremotati, poi l’atterraggio sulla spiaggia in stile Apocalypse Now per portare la madre al ristorante.
Non varrebbe la pena di infierire ancora su questo arcitaliano se non fosse per un piccolo contributo al dibattito, sotto forma d’ipotesi.
Uno così recidivo deve per forza avere avuto un imprinting fin da piccolo. Un indizio è quel doppio nome e doppio cognome.
Francesco. Maria. De Vito. Piscicelli. Nome grandioso, da librettista verdiano, cognome da critico d’arte di provincia.
Abundandis abundandum, diceva Totò: e lo stesso devono aver pensato i genitori. (Facile immaginare che nel pompaggio onomastico un ruolo deve avere avuto quella madre elitrasportata).
Non ci sarebbe niente di male a essere semplicemente De Vito o Piscicelli.
Il danno è l’ambizione.
Il danno è quel Francesco Maria, primo indizio di aspirazione nobiliare.
Il danno è il raddoppio del cognome, che evoca ascendenze aristocratiche, lasciando immaginare che De Vito sia la casata e Piscicelli magari il feudo.
Più banalmente, forse, dietro c’è solo il vezzo di sfruttare pure il cognome della suddetta madre.
Purtroppo, la materia di cui sono fatti i nomi tradisce ogni anelito e ambizione.
Per quanto Francesco Maria, per quanti soldi puoi riuscire a fare: sempre De Vito Piscicelli sei destinato a restare.



Roberto Alajmo | 30/12/2011 | Letto [3390] volte

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