""In tre parole posso riassumere tutto quello che ho imparato sulla vita: si va avanti".
(Robert Frost)
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(Un frammento del testo che ho scritto per un convegno francese sulla follia letteraria)
Siccome prevedo che questo testo sarà letto da parecchi giovani, io vorrei essere drastico: la follia non agisce in alcun modo nel processo creativo. Lo dico chiaro e tondo perché circolano ancora molti stereotipi sullaccoppiata genio e sregolatezza. Si da per scontato che la sregolatezza sia il carburante del genio. Ebbene: non è così. Io non conosco scrittori che alimentino il lavoro con la follia. Semmai, al contrario, si giovano del sistema, dellordine con cui riescono a tenere imbrigliato il loro genio, ammesso che ce labbiano. Il resto è un alibi: per molti artisti, il fatto di avere un anche minimo talento creativo rappresenta a posteriori la scusa per comportamenti eccentrici o asociali. Ma non centra. La follia, quando si parla di creatività, nella maggior parte dei casi è come le spezie in certi ristoranti mediorientali: serve a coprire la cattiva qualità delle pietanze.
Certo, ci sono delle eccezioni: Bukowski, per esempio. Ma era lui stesso il primo ad ammettere che i suoi versi, scritti mentre era ubriaco, venivano riveduti e abbondantemente corretti dopo che era tornato apposta a essere sobrio.
E comunque, qualsiasi eccezione non vale la pena. Io arrivo a prendere le distanze persino dalla cosiddetta ispirazione, così tanto sopravvalutata e oggetto di parecchi fraintendimenti artistici. Vale sempre la percentuale fissata, credo, da Hemingway: il genio è al dieci per cento ispirazione e al novanta per cento traspirazione. Ossia sudore, disciplina, applicazione quotidiana.